sabato 24 maggio 2014

#Cannes: sulla nuda solitudine.



Maps To The Stars
id., 2014, USA, 111 minuti
Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura originale: Bruce Wagner
Cast: Evan Bird, Robert Pattinson, Carrie Fisher, Julianne Moore,
Mia Wasikowska, John Cusack, Sarah Gadon, Olivia Williams
Voto: 4.8/ 10
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La mappa del titolo è quella sorta di itinerario (abbastanza costoso) che si può fare in limousine, una volta arrivati ad Hollywood, per passare di fronte e di fianco alle ville delle celebrità; chiede informazioni Mia Wasikowska all'autista Robert Pattinson, che dopo due anni si siede sul sedile anteriore della macchina di Cosmopolis, senza cambiare il vero pilota – sarà ironico: tornerà a parlare e far sesso, per quel poco che lo vediamo, sempre in macchina. La Wasikowska si chiama Agatha, una grassa cicatrice sul collo e i guanti sempre presenti insieme alle calze lunghe per coprire le conseguenze di un'incendio; amica della vera Carrie Fisher, unica star a interpretare se stessa in questo manipolo di star(lette), troverà lavoro di “aiutante” presso Julianne Moore, imbiondita e lip-glossata fino a diventare il ritratto di Lindsay Lohan senza nemmeno troppi anni in più. La Moore, nella realtà quattro volte candidata all'Oscar senza mai aver toccato statuetta, nella finzione è un'attricetta alla deriva ossessionata dal fantasma della madre che la violentò, di cui vorrebbe interpretare il ruolo nel remake del film che la rese celebre, prima che un altro incendio se la portasse. Vive di terapia, difficoltà alimentari, isterismi, visioni, sesso non occasionale ma proprio casuale; sente citare P. T. Anderson (per il quale ha dato il meglio di sé) e pare non prendere effettivamente sul serio lo stereotipato ruolo. Eppure è lei che brilla, sovrana indiscussa della pellicola, in odore di un'altra candidatura all'Academy e unica a uscire a testa alta dalla sceneggiatura di Bruce Wagner, famoso per uno dei Nightmare e poco altro. Completa il corollario un baby-attore che si atteggia ad adulto, con le Adidas più grandi del suo avambraccio e sempre la stessa lattina in mano, quattordicenne già con problemi di droga e facilità all'omicidio. Quello che è successo a Drew Barrymore, Macaulay Culkin, alla famiglia Voight e ciò che si bisbiglia succeda dentro alle ville della California di cui persino una serie leggera come Devious Maids aveva parlato, viene preso pari pari e spiattellato su grande schermo con la telecamera fissa di chi guarda senza giudicare né intromettersi, coi campi e controcampi elementari, coi tanti dialoghi e le solitudini schizofreniche; ma è, questa, una sequenza illogica di vicende grottesche inaccettabili (John Cusack e Olivia Williams sono fratello e sorella, marito e moglie, genitori), che si sommano in un crescendo di incesti, omicidi, suicidi che non riescono ad essere nemmeno accettabilmente grottesche. David Cronenberg già alla deriva con A Dangerous Method, dopo i bei A History Of Violence e La Promessa Dell'assassino ha concentrato tutta la sua attenzione sul rapporto mente-corpo, malattia-lesionismo, condizione sociale-conseguenze personali: dal sesso violento di Jung a quello a pagamento di Eric Parker – di mezzo c'è sempre il corpo, la fisicità, il disturbo. Tutto, sullo sfondo, sembra sempre marcio, disgustoso, putrido, quel latente splatter de Il Pasto Nudo e de La Mosca. Ma questa volta siamo a Hollywood, le altre volte eravamo nell'Inghilterra di primo Novecento, nel post-futuro dell'alta società. Pare voglia trovare il rovescio della medaglie del glamour e dell'agiatezza, e invece ci conduce solo al sonno.

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