giovedì 22 maggio 2014

#Cannes: serenissima.



Grace Di Monaco
Grace Of Monaco, 2014, Francia/ USA/ Belgio/ Italia, 103 minuti
Regia: Olivier Dahan
Sceneggiatura originale: Arash Amel
Cast: Nicole Kidman, Tim Roth, Frank Langella, Paz Vega,
Milo Ventimiglia, André Penvern, Robert Lindsay
Voto: 5.3/ 10
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L'idea che la mia vita sia una favola è una favola di per sé, esordisce la pellicola con una delle tante scritte che compariranno a schermo – eppure come una favola, o meglio una fiaba, viene trattato questo film, storia “ispirata a fatti reali”, come si dice, ma che molti ne inventa, a partire, assicurano politicamente correttamente, dalla facilità di violenza del principe Ranieri. Nicole Kidman aka Grace Kelly riceve fiori e applausi che poco le interessano all'ultimo ciak di Alta Società l'anno successivo alla vittoria dell'Oscar per La Ragazza Di Campagna. Grace non sa (o forse sì) che quello sarà l'ultimo ciak della sua vita, per volare verso l'appunto alta società del principato di Monaco: una gabbia di cristallo in cui la vediamo subito dopo, ritratto della stanchezza agli occhi di Alfred Hitchcock che le chiede di interpretare Marnie (ma nessuno dei due biopic dell'anno scorso accennava alla cosa), idea che più di una volta stuzzicherà la principessa serenissima. Due figli che intravediamo a malapena, un sacco di maggiordomi, un marito (Tim Roth) sempre mezzo ubriaco e col broncio perché la Francia pretende la tassazione nel piccolo stato e Charles De Gaulle minaccia quasi la guerra atomica. Siamo nel 1965, e sebbene i fatti siano solo “ispirati” alla realtà vengono cadenzati nel loro scorrimento con date precise e luoghi: dalla decisione di Grace di diventare onniscente nel principato che regna alla scesa in campo (al mercato, sul confine) per mischiarsi alla “povera gente”, mentre la tensione politica sale. Come una fiaba – o forse peggio – viene trattata questa vita di donna che banalmente splende, si fa coraggio e combatte il mondo che, tutto intero, ce l'ha con lei, tutti complottano contro di lei, e lei si eleva sulle altre donne che pensano solo al ballo di ottobre interessata a risanare ospedali e orfanotrofi, si dedica ai figli nonostante sogni il divorzio, si spreme per trovare una soluzione alle paturnie della famiglia. Un patetismo tipico dei film modesti che si salva di striscio per la performance della protagonista sulla quale Olivier Dahan fa totale e cieco affidamento inquadrandola infinitamente in volto, per dettagli, le labbra contrite, gli occhi bagnati (e si spiega l'inspiegabile locandina). Sbalzi di umore e lacrime facili che scadono nel cliché dei tremendi dialoghi del quasi esordiente Arash Amel in una tensione che vorrebbe avere il suo culmine nel discorso finale che salverà il mondo perché le parole fanno meglio delle armi, prima del tipico finale dei film di questo genere, un multistrato di voci fuori campo e inquadrature da pubblicità di profumo francese – ché per un quarto francese è anche il film e per intero il suo regista, oggettivamente capace, ma che non ne azzecca una; il successo (e i due Oscar) de La Vie En Rose lo fanno ritornare sul film biografico ma abbandonando la narrazione non cronologica e a incastri, fatta di gioie e dolori, momenti di pathos e (forse era quello il segreto) canzoni che hanno fatto storia. Questa volta pare sia interessato solo ai lustrini, ai cambi d'abito della Kidman che ne cambia davvero troppi, alle cene sfarzose, ai palazzi arredati – anche lo strazio si svolge in questi ambienti, con queste maschere. Ma la cosa più imperdonabile di tutte è aver inserito Paz Vega a interpretare Maria Callas – non solo con un girovita leggermente più largo ma anche con una semplicità inaccettabile e una performance canora da presa in giro. Si aggiunge il ridicolo Onassis.

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