mercoledì 7 gennaio 2015
il calcolatore universale.
The Imitation Game
id., 2014, UK/ USA, 114 minuti
Regia: Morten Tyldum
Sceneggiatura non originale: Graham Moore
Basata sul romanzo Alan Turing. Storia Di Un Enigma
di Andrew Hodges (Bollati Boringhieri)
Cast: Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode,
Rory Kinnear, Allen Leech, Matthew Beard, Charles Dance,
Mark Strong, James Northcote, Tom Goodman-Hill, Steven Waddington
Voto: 5.7/ 10
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Agli albori della Seconda Guerra, il ventisettenne Alan Turing (che con alle spalle pubblicazioni e meriti non si considera un prodigio portando ad esempio i precursori più noti) viene chiamato da una segreta task force nell'esercito inglese a decrittare il codice intercettato con cui i tedeschi di Hitler si mandano informazioni riguardo agli attacchi imminenti, gli spostamenti delle armate, i progetti bellici. La macchina che fornisce i dati nell'indecodificabile codice si chiama Enigma guarda un po', e ogni giorno l'algoritmo del suo segreto cambia. I più esperti matematici, logicisti, statisti d'Inghilterra ci lavorano notte e giorno senza raggiungere mai traguardo, mentre la guerra fa incetta di civili e l'alleata Russia pretende informazioni. Con l'ordine di Churchill, Turing viene messo a capo di un team da lui selezionato attraverso un cruciverba da risolvere in sei minuti – quando il tempo necessario rasenta gli otto. Keira Knightley consegna il foglio compilato in poco più di cinque, e diviene effettivamente parte della cricca di cervelloni tutti maschi all'interno della quale inizierà la sua futura battaglia femminista, per i diritti paritari, nonostante sia indecoroso agli occhi dei genitori. Dall'altra parte Alan/ Benedict Cumberbatch, un pelo autistico e sprezzante del prossimo ma non in tutte le scene, si farà presto martire delle leggi omofobe dell'epoca, suicidato quarantenne sotto castrazione chimica, accusato ingiustamente e premeditatamente mentre la sua macchina dava le basi al moderno computer. Questa parte della storia, però, viene omessa: segregata nelle didascalie finali che, si sa, insieme alla voce fuori campo (che pure compare), rappresenta la debolezza di ogni sceneggiatore. Il duo – di attori e personaggi – affiatatissimo e in sintonia mentale, si fa paladino delle diversità e delle emarginazioni, del riscatto sociale e della meritocrazia, e a poco serve sottolineare quanto Turing sia stato genio incompreso, quanto l'Inghilterra sia colpevole d'omicidio (al punto che nel 2009 la regina Elisabetta si è pubblicamente scusata per quello che l'esercito britannico fece a un vero eroe di guerra, senza il quale il Conflitto avrebbe causato molti più morti). Se ne esce comunque tutti felici e contenti, senza risentimento verso l'omofobia né verso l'UK, appunto perché il copione decide di fermarsi a un pezzettino microscopico dell'accusa per atti osceni istigata da un furto senza ladro. Il celebratissimo lavoro dell'ex sconosciuto Graham Moore, tra l'altro, non riesce a reggere i due, a stralci tre livelli narrativi su cui dipana la storia dall'infanzia agli ultimi anni di vita del giovane favoloso, fatta di poca originalità su tutti i fronti: dalle banalotte gag per far sorridere (leggi: arrampicata alla finestra) all'analisi pressappochista di certi personaggi, leggi: Joan Clarke, di cui possiamo però accettare la romanzazione visto che l'unica testimonianza che si ha della donna è un'intervista scritta rilasciata quando aveva settant'anni. Se la bravura della Knightley è quindi più gonfiata del dovuto causa mancanza di concorrenza quest'anno, possiamo lamentarci meno di Sherlock-in-tweed, ancora una volta dispotico illuminato, già eletto attore del 2015, da tutti amato – comunità GLBT inclusa. Impossibile non paragonarlo all'altro nerd in sala, Stephen “Eddie Redmayne” Hawking, sempre super british ma con una malattia degenerativa che alimenta la difficoltà del lavoro dell'attore, soprattutto perché Cumberbatch interpretò il fisico nel TV movie Hawking. Entrambi i film (questo e La Teoria Del Tutto) sono di un ruffiano esasperante tra musiche coinvolgenti e ritmi narrativi da primi piani cogitanti. In questo caso però c'è dietro Harvey Weinstein, furbamente tornato in Inghilterra per replicare l'inspiegabile pioggia di premi de Il Discorso Del Re: «a conti fatti [...] sono proprio elementi come forma anonima ma costosa, attori “bravissimi” ma manierati e scenografie “bellissime” a racchiudere l'ideologia da Oscar [...]. Senza contare la ricostruzione storica cartolinesca» (Giona A. Nazzaro, Film TV). Piacerà a chi: uscendo dalla sala vorrà comprarne il libro per lasciarlo a pagina cinque.
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