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martedì 14 luglio 2015

Josh Ho.



Giovani Si Diventa
While We're Young, 2014, USA, 97 minuti
Regia: Noah Baumbach
Sceneggiatura originale: Noah Baumbach
Cast: Ben Stiller, Naomi Watts, Adam Driver, Amanda Seyfried,
Charles Grodin, Adam Horovitz, Maria Dizzia, Matthew Maher,
Peter Yarrow, Dree Hemingway, Matthew Shear, James Saito
Voto: 7.2/ 10
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Josh gira documentari, Cornelia li produce; il padre di lui è stato un famoso regista del genere, gli amici di entrambi hanno appena avuto un figlio. Domandano alla coppia: e voi, quando lo fate? – poi si imbarazzano. Josh e Cornelia ci hanno provato due volte, ma lei ha perso il feto in entrambi i casi. Così, escono con gli amici, girano e producono documentari ed evitano il padre di lei perché Josh è convinto che non ci sia particolare compatibilità tra i due maschi. Gli amici, però, iniziano a frequentare solo genitori di figli, classi di canzoncine per bambini, barbecue con la metà degli ospiti under 3. Il caso vuole che Josh, nella scuola dove insegna, si imbatta in uno studente imbucato, Adam Driver, che poi lo inviti a cena insieme alla sua giovane moglie Amanda Seyfried per parlargli di quanto abbia apprezzato la sua carriera, e quella del suocero, dei suoi progetti futuri – ma anche della sua casa di videocassette e vinili, recupero di sigle anni '80, cappelli e occhiali dalla montatura tonda, scrivanie fatte a mano con le assi di legno per spendere meno e vincere l'effetto home-made, il gelato artigianale proto-vegano, il rifiuto di Facebook a meno che non lo si usi per esperimenti sociali e lo sforzo di ricordare qualcosa invece di cercarla su Google dal cellulare. Josh e Cornelia leggono dall'iPad, ascoltano musica dall'iPod, si annotano la lista della spesa sull'iPhone; Jamie e Darby giocano a basket con la gente del quartiere, vanno in bici, ballano hip-hop. Sono ciò che i due protagonisti sono stati: e questo, aggiunto all'entusiasmo e le aspettative dell'essere giovani, li fa scatenare: gli amici (vecchi) non li chiamano più, e travolti da un insolito coinvolgimento si sforzano di essere generosi: Josh si propone per aiutare Jamie nel suo progetto amatoriale documentaristico alla ricerca di un sopravvissuto di guerra. Ma nella costruzione della cosa molto appare poco spontaneo, il protagonismo del ragazzo diventa eccessivo fino a far dubitare della natura del rapporto e della sua nascita. Dopo aver raccontato una ragazza che non accetta di stare diventando donna in Frances HaNoah Baumbach prosegue linearmente la narrazione dipingendo due adulti che, impossibilitati all'essere etichettati come tutte le altre coppie (“di genitori”) si domandano se stiano invecchiando o se abbiano ancora l'età per fare i giovani. Non rifuggono le loro responsabilità come Frances: rifuggono il loro passato e poi se ne lasciano stregare come se fosse sconosciuto. Dove però quel film (scritto dalla compagna del regista Greta Gerwig e da lei interpretato, nomination al Golden Globe come attrice comedy, arrivato in Italia con un abbondante anno di ritardo e mai visto in DVD) vinceva – asciugando l'intreccio narrativo alla semplice dichiarazione della vita della protagonista – questo pecca: perché lo sconosciuto astutamente inserito nella vita di un altro e poi scoperto bugiardo approfittatore è roba vecchia. Ben Stiller, già nel precedente debole Stravagante Mondo Di Greenberg, si cala appieno nel ruolo ma non affronta particolari ostacoli; Naomi Watts invece aveva tra le mani un personaggio profondissimo – donna che vive il dramma di non poter procreare, che si vede circondata solo da mogli e mamme e bambini, che lavora all'ombra del padre e del marito – ma non hanno le preoccupazioni e i problemi che aveva Frances: non mancano di soldi, di talenti, di decenza estetica. Purtroppo le premesse della prima parte (taglienti fino alla cattiveria satirica, lucidamente contemporanee, antropologicamente analizzate) si perdono alla ricerca spasmodica di una trama interessante da seguire fino alla fine: e come tutte le trame che il pubblico vuole, per la prima volta, fa approdare in sala, quasi per tempo, un film di questo indie-regista.

venerdì 10 luglio 2015

Selma.



Ted 2
id., 2015, USA, 115 minuti
Regia: Seth MacFarlane
Sceneggiatura originale: Seth MacFarlane, Alec Sulkin e Wellesley Wild
Cast: Mark Wahlberg, Seth MacFarlane, Amanda Seyfried,
Jessica Barth, Giovanni Ribisi, Morgan Freeman,
Sam J. Jones, Patrick Warburton, Michael Dorn,
Bill Smitrovich, John Slattery, Liam Neeson, Tom Brady,
Jay Leno, Jimmy Kimmel, Alec Sulkin
Voto: 6/ 10
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Tre anni, una nomination all'Oscar (miglior canzone originale Everybody Needs A Best Friend, interpretata da Norah Jones nel tipico stile jazzy de I Griffin), la presentazione di quegli Academy Awards, un altro film in sala scritto diretto e interpretato (Un Milione Di Modi Per Morire Nel West, un'atrocità del demenziale candidata a quattro Razzie), tre serie animate portate contemporaneamente avanti e Seth MacFarlane ritorna, nel 2015 a dare voce (e movenze) all'orsetto giocattolo che negli anni '80 prese vita diventando un fenomeno mediatico invitato a talk-show e trasmissioni televisive per poi finire nel dimenticatoio dei più – ma non di Mark Wahlberg, adulto mai cresciuto nonostante un matrimonio e un divorzio, che ne sarebbe il “proprietario”, o meglio il “custode”?, il fedele “rimbombamico”, ecco. Perché Ted, peluche con vita e vizi – l'erba, la birra, il sesso – non dovrebbe avere proprietari, in quanto human being – ma lo è poi sul serio? In questo secondo capitolo, ambientato dal giorno delle sue nozze in poi, è questo il fulcro della trama: affermare la propria esistenza, i propri diritti civili, matrimoniali, lavorativi: in quanto fatto di pezza e ripieno di cotone, Ted non viene accettato da alcuni stati americani come marito, come cassiere del supermercato. La querela diventa virale, i giornalisti e i conduttori di TG ne parlano in televisione, ognuno la pensa come vuole e nella condizione di emarginato sociale e politico Ted si ritrova ad affiancare neri e omosessuali nelle annose marce che li hanno contraddistinti: l'elogio del diverso, quindi, a sorpresa, in uno sviluppo narrativo originale ma che nel suo script poi rivela l'obbligatoria banalità di vicende. Meno volgarità barbariche, meno sporcizia e demenzialità per un fondo di serietà legale in cui spunta Morgan Freeman avvocato (ovviamente nero) che non ha mai perso una causa a differenza della novella Amanda Seyfried (ovviamente bionda), già diretta da MacFarlane nel film precedente. Qualche siparietto sui generis, certo: a cominciare dalla raccolta del campione di sperma iniziale per rendere Ted padre di famiglia – privato dello strumento necessario e quindi costretto all'inseminazione artificiale, altro territorio spinoso; insieme a John finisce nella stanza sbagliata e il carrello con tutti i liquidi seminali si ribalta e ricopre uno dei due, sfiorando il vomito suo e di chi guarda. Essendo Ted questa volta più protagonista del suo co-starring, il temuto antagonista a maggior ragione è Giovanni Ribisi, anch'egli nel film precedente – quasi stesso rôle a causa del suo physique  – ultimo nella scala gerarchica della Hasbro che vorrebbe riscattarsi coi consensi del proprietario. Satira agli onnipresenti supereroi: dai quali sono tutti mascherati durante il Comic-On e di cui si aspettano continue notizie («il prossimo Superman sarà interpretato da…»), passando per i fenomeni sportivi, i soliti cammei e la conclusiva scena di botte senza apparente spiegazione. L'originalità che ha contraddistinto il giovane regista, sceneggiatore e produttore si accartoccia (di nuovo) sul grande schermo, nonostante la chiave di lettura del film (dei film) sia la presa in giro del target hollywoodiano senza che il target hollywoodiano se ne accorga, anzi ci rida sopra. Ma dove le battute funzionano, il ritmo funziona, anche molto, è l'esito del plot che lascia delusi.

venerdì 7 novembre 2014

oh Django Django.



Un Milione Di Modi Per Morire Nel West
A Million Ways To Die In The West, 2014, USA, 116 minuti
Regia: Seth MacFarlane
Sceneggiatura originale: Set MacFarlane, Alec Sulkin, Wellesley Wild
Cast: Seth MacFarlane, Charlize Theron, Amanda Seyfried, Liam Neeson,
Giovanni Ribisi, Neil Patrick Harris, Sarah Silverman, Christopher Hagen
Voto: 5/ 10
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La genialità non totalmente demenziale de I Griffin ha condotto la più comica serie animata d'America – comprensibile da noi solo in parte – a una nomination agli Emmy come Miglior Serie Comedy (e non animata) insieme a cinque altri telefilm fatti di persone vere, qualche anno fa. Fu l'apice della fama di un cartoon e di un creatore che poi avrebbe trovato incredibile ascesa: il film Ted al cinema, fatto di attori veterani (Mila Kunis doppia in originale Meg), la presentazione degli Oscar due anni fa – e sono stati, questi, tutti esperimenti che Seth MacFarlane ha tristemente fallito: sommerso di aspettative, non ha saputo rispondere né all'altissimo apporto comico che si supponeva potesse portare al cinema né alla ventata di giovinezza che gli Academy Awards cercano da anni alla loro conduzione. Torna in sala con un western che è western già dal titolo: Un Milione Di Modi Per Morire pare voglia anticiparci una serie di sparatorie, esplosioni, rapine, inseguimenti che sono tipici dei film delle nuove Americhe pieni di saloon, nativi e donzelle, sceriffi e taglie sui banditi. Il clima è quello, e le scenografie pure (ed è incredibile, nel senso difficile da credere, che tanto denaro sia stato usato per ricostruire questi set), e così i costumi e i ruoli imposti; ma la trama rasenta il cliché dei film di formazione, spesso animati: la pecora rosa tra le pecore nere incapace di fronteggiare un nemico, rispondere al fuoco, governare la fidanzata Amanda Seyfried zuccherosa e benvestita col veleno in bocca all'occorrenza. Seth, che si dà il ruolo di protagonista, è lo zimbello del villaggio, allevatore di pecore che somigliano al suo carattere, privo di iniziative, monotono nella sua condizione di vita, uno sfigato; è oggetto di scherni dal geniale Neil Patrick Harris osannato per i suoi baffi di cui si prende una cura maniacale e con i quali raggiunge spesso l'orgasmo; è amico di Giovanni Ribisi, azzeccatissimo nel ruolo, che a sua volta è fidanzato con la prostituta Sarah Silverman, con la quale intrattiene un rapporto casto in attesa del matrimonio. I personaggi minori sono tutti ben pensati, divertentissimi da sentir battibeccare. I problemi stanno nei protagonisti, a cominciare da Charlize Theron: tipico maschiaccio con la gonna, capace a sparare grazie all'uomo che la possiede con la forza, liquefatta davanti all'animo casto del pecoraro ma consapevole di non essere ricambiata. Tutti i rotolanti cliché si accavallano verso la fine che in cliché esplode – fino alla scena conclusiva, dove finalmente il sospetto viene manifestato: il ricordo, cioè, di un genere ripescato con maggior minuzia da troppo poco tempo, di un film che si chiama Django e al quale si pensa costantemente. Ma in termini diversi: alla violenza sbandierata si sostituisce un cattivo gusto che rasenta la maleducazione: battute becere, diarree, steli di margherite infilati in sederi nudi, volgarità putride e perenni sfondi fisiologico-sessuali rendono quella comicità da popolino basso, da commediola vernacolare davanti alla quale la borghesia giustamente ha sempre storto il naso. Pare di assistere a lotte tra maiali nel fango: per questo è uscito contro ogni aspettativa in una manciata di copie.

sabato 3 maggio 2014

la vera gola profonda.



Lovelace
id., 2013, USA, 93 minuti
Regia: Rob Epstein & Jeffrey Friedman
Sceneggiatura originale: Andy Bellin
Basata sulla vita di Linda Marchiano
Cast: Amanda Seyfried, Peter Sarsgaard, Juno Temple, Sharon Stone,
Bobby Cannavale, Adam Brody, James Franco, Wes Bentley,
Chris Noth, Robert Patrick, Hank Azaria, Debi Mazar
Voto: 7/ 10
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Giugno 1972: per la prima volta arriva sugli schermi cinematografici un film pornografico legale, con una vera trama e dei personaggi abbozzati, a metà tra la commedia e il vero hardcore. S'intitolava Gola Profonda e portò in sala abbastanza spettatori da guadagnare centomila dollari (ne era costato venticinquemila) e da far nascere quelle che poi si sono chiamate le sale a luci rosse. Fu un caso internazionale (ne incassò seicentomila con l'uscita dell'home-video) a partire dalla sua protagonista, una certa Linda Lovelace, appena ventenne, la cui formidabile dote orale era stata notata dall'allora precoce marito Chuck Traynor, sorta di co-produttore di pellicole porno, che aveva presentato Linda al regista Gerard Damiano. Il potere della protagonista nasceva soprattutto da una spontaneità, un candore che non si addiceva allo standard dell'attrice pornografica dell'epoca, tutta silicone e pelo biondo; in piena rivoluzione sessuale e scavallamento dei canoni, Linda si fece portavoce della libertà delle donne – per poi ribaltare tutto vent'anni dopo. Ci aveva già pensato un documentario del 2005, Inside Gola Profonda, libro + dvd edito da Feltrinelli, a raccontare la storia del più famoso film porno del mondo, ma lo sceneggiatore quasi esordiente Andy Bellin e più ancora i registi Rob Epstein e Jeffrey Friedman, documentaristi celebri (il secondo ha vinto due Oscar) per la loro trasposizione de Lo Schermo Velato di Vito Russo e per il più recente Howl, sono più interessati al retroscena della vita personale della donna più che alla saga del film (che contò tre sequel senza di lei). Il “contratto” con l'industria pornografica, che la vide sul set una settimana circa dei diciassette totali, fu costrizione dal marito Chuck, interpretato qui da Peter Sarsgaard, che ricicla – con qualche pelo in più e qualche chilo in meno – il ruolo apparentemente roseo di An Education; riempitosi di debiti perché dipendente dalla cocaina, costringerà la moglie a prostituzione, orge, botte, docce ghiacciate pur di racimolare denaro, e lei dall'altra parte gli sarà fedele serva perché la madre, bigotta conservatrice, così le ha insegnato: «Dio ti ha dato un marito: ubbidiscigli» dice Sharon Stone, irriconoscibile nel ruolo. Ma tra i lividi e i lustrini Linda diventerà suo malgrado icona su più fronti, dalle sboccate battute televisive al modello d'ispirazione per le giovani ragazze. Si schiererà con le femministe all'uscita del suo libro Calvario, autobiografia del dolore, che pubblicherà solo dopo la prova della macchina della verità. L'aspetto interessante del film è sicuramente che si spezza: ci fa il resoconto di ciò che sappiamo, all'inizio, una nuvola idilliaca di celebrità conquistata facilmente e spensieratezza adolescenziale (sempre meravigliosa Juno Temple, qui amica più libertina), poi il dramma personale e l'impossibilità del cambiamento, spiazzandoci, mostrando di ogni episodio l'altra faccia. Siamo a Hollywood, per cui un biopic deve necessariamente profumare di botteghino e puritanismo; certo è che sarebbe stato inutile fare un film hard su un film hard. Si è molto sinceri: la dote artistica della Lovelace è quasi nulla – ed è bravissima Amanda Seyfried a cambiare spesso registro, per quanto la sceneggiatura glielo permetta (ricorda a tratti la Lindsay Lohan che aveva interpretato lo stesso ruolo per il progetto di Matthew Wilder). Belli anche i camei: di James Franco innanzitutto, già in Howl e qui attraente giovane di potere; Adam Brody co-protagonista superdotato della pellicola di finzione. Belle le ambientazioni anni '70, i costumi, qualche scena, nel clima revival di American Hustle. Ma c'è un problema: dello stessa tema aveva già parlato un altro film; era inarrivabile, lunghissimo, quasi perfetto – e si chiamava Boogie Nights – e il confronto, purtroppo, demoralizza.