domenica 23 settembre 2012
Venezia 69: Susanne Bier.
Love Is All You Need
Den Skaldede Frisør, 2012, Danimarca/ Svezia, 116 minuti
Regia: Susanne Bier
Sceneggiatura originale: Anders Thomas Jensen
Cast: Trine Dyrholm, Pierce Brosnan, Paprika Steen, Kim Bodnia,
Sebastian Jessen, Molly Blixt Egelind, Bodil Jørgensen
Voto: 5/ 10
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Togliete da Midnight In Paris la Francia, e togliete da Mamma Mia! la Grecia. Togliete poi, dal film di Allen, il ritorno alla Francia del passato e dei grandi scrittori/ registi/ pittori, e al film con la Streep la musica degli ABBA. Spero che ci sia da togliere anche gli incassi record di uno e dell'altro film. Poi mischiateli, e otterrete questa cosa, questa commedia romantica, che quando a Venezia l'hanno vista due non-critici hanno gridato al capolavoro, hanno cominciato a urlare: «geniale!», «avrebbe dovuto essere in concorso!».
Questo Love Is All You Need (a cui è stato tolto il punto interrogativo del titolo iniziale) è assolutamente l'anti-genialità. Mentre lo guardavo, mi dicevo: se alla fine 'sti due non si mettono insieme, gli dò la sufficienza. Guardare il voto per capire l'esito. Non sto facendo dello spoiler, eh, anche perché non ce n'è assolutamente bisogno: basta che la protagonista femminile, la brava Trine Dyrholm, scossa ma poi non troppo dal tradimento del marito, che ama e che venera e che se la spassa sul divano con la contabile dell'azienda, vada a schiantarsi con la macchina in modo patetico sul Mercedes del ricco Pierce Brosnan proprietario di una ditta che smercia frutta e verdura, basta questo scontro/ incontro, dicevo, per capire subito come finirà, perché nonostante dietro alla macchina da presa ci sia il premio Oscar Susanne Bier (per In Un Mondo Migliore, edizione 2010, e notare la grandezza del suo nome in locandina, più grande del titolo), appena uno cala il piede nel posso della commedia romantica si rovina la carriera. Brosnan parla americano, suo figlio parla inglese e tutti gli altri parlano danese, e si capiscono!, e io mi chiedevo: ma... perché? Qua c'è puzza di attore americano preso d'amblè. Il mistero non ci viene svelato. Su Brosnan, poi, c'è il fantasma della moglie morta in un incidente e quello di una cognata fin troppo viva (Paprika Steen, uno spasso), che lo brama; sulla Dyrholm c'è una malattia terminale trattata come in un Harmony, che non volge mai al peggio, e una parrucca che copre la chemio, mentre un figlio va in guerra (per tre giorni) e una figlia va in Italia (per sposarsi). E indovinate chi è il fortunato. Ma il figlio di Pierce, ovvio, e allora ecco tutti i personaggi riuniti per una settimana di festeggiamenti in questa villa con acri e limoneti che al minuto 00:10 è completamente marcia, sudicia e vuota, priva di mobilio e luce elettrica e al minuto 00:27 è miracolosamente arredata e sforzesca, piena zeppa di cibo e bevande e sedie e camere per gli ospiti. Ma sono persone ricche, per cui tutto è giustificato. Sono, anche, ricchi di dubbi: i novelli sposi non scopano perché lui cela un'ambigua attrazione (che ci è chiara da subito ma la regista non lo sa); la madre della sposa non riesce a riempire di pugni il marito che si porta dietro la nuova fiamma; il padre dello sposo che ha sempre voluto restar da solo inizia a sentire il ritorno dell'amore.
Non nego che, ogni tanto, a qualche battuta si sorride, ma poi parte “That's Amore” e ci chiediamo: in quanti altri film ambientati in Italia dobbiamo ancora sentirlo?, quante altre volte dobbiamo sentire questa canzone mentre sullo schermo c'è una pizza?
Quanta banalità, quanti cliché, anche questa volta, anche in questo film. Ha fatto benissimo il nuovo direttore a metterlo fuori concorso perché già Venezia 69 odorava di troppa mediocrità.
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