martedì 16 dicembre 2014
il film estone.
Mandariinid
id., 2013, Estonia/ Georgia, 87 minuti
Regia: Zaza Urushadze
Sceneggiatura originale: Zaza Urushadze
Cast: Lembit Ulfsak, Elmo Nüganen, Raivo Trass
Giorgi Nakhashidze, Mikhail Meskhi
Voto: 8.1/ 10
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Candidato al Golden Globe:
miglior film straniero
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Estonia, Lituania e Lettonia – si studia in Geografia alle scuole medie: tre piccoli stati in un'unica pagina di cui si dicono le cose che si dicono di tutti gli stati, l'agricoltura, per la presenza del mare, il settore terziario. Non vanno con più originalità le cose sotto il profilo cinematografico: l'Estonia partecipa attivamente agli Oscar solo dal 2004, dieci anni con questo, avendo precedentemente mandato solo due film all'Academy (nel 1992 e nel 2001) che non riuscirono ad entrare nemmeno nelle shortlist di gennaio. Mai una statuetta e mai una nomination per un Paese che si rivela quest'anno al festival di Varsavia, di Seattle, ai Satellite Awards e addirittura ai Golden Globes (rubando, forse, la candidatura a Mommy) e ci rivela uno spaccato della propria storia, doloroso ma ottimistico. 1992, ci viene detto coi titoli di testa, visto che non lo studiamo in Storia alle scuole medie: l'Abkhazia sta lottando per separarsi dalla Georgia con una guerra cieca che colpisce dall'alto e dall'entroterra, che colpisce chiunque passi davanti alle camionette, civili e militari. Ospitano le conseguenze di un assalto, nei propri giardini, il vecchio Ivo e l'amico Markus, isolati dalla città in questo pezzo di campagna: il primo (Lembit Ulfsak, copia conforme di Michael Haneke) lavoratore del legno, che costruisce cassette per i mandarini e il secondo che i mandarini li coltiva in altura, e adesso li deve cedere all'esercito – entrambi imparziali rispetto alla lotta armata, entrambi lontani dalla natìa Estonia. Tra le vittime fuori casa trovano un ceceno e un georgiano: si sbarazzano dell'automobile, degli altri corpi, e portano in casa i superstiti, sopravvissuti a malapena, uno dei quali ha una scheggia di bomba nella testa, e che sono in conflitto tra loro perché delle fazioni opposte, costretti a convivere sotto il tetto del saggio e buon Ivo che pretende nessuna morte all'interno della dimora. I mandarini del titolo quindi non sono quelli che erano di Simone de Beauvoir: sono il simbolo della resistenza durante la guerra; più volte Ivo rimprovera l'amico Markus (a cui è legato da affettuosa sincerità) che non si fa agricoltura durante i conflitti ma testardamente quell'altro alleva i propri frutti con la dovizia e l'ingenuità non di Candido ma di chi non si spiega, non si accorge proprio, che il Paese rischia di essere bombardato in ogni momento. E lo spazio è solo quello del cortile di casa, e gli interpreti sono solo questi quattro stranieri tra loro, costretti a subire le calate degli alleati sospettosi. Basta una piccola finestra su questa storia e su questo Paese perché ci venga resa appieno la condizione, la tensione, il sentimento di quel tempo. Un film UNICEF che sottolinea l'inutilità di qualche (di ogni?) lotta armata quando basterebbe il dialogo, il rapporto col nemico, ma ancora meglio che sottolinea la stupidità delle motivazioni che sono alla base di queste guerre, soprattutto se sono motivazioni che scaturiscono dai confini geografici imposti o dalla casuale provenienza territoriale. La tensione non estrema prosegue ed esplode verso un finale commovente quanto amaro sulla giustizia che c'è e non c'è, sul candore e l'ospitalità ciechi che non vengono ripagati, e richiudiamo infine questa finestrella che quasi a torto il regista Zaza Urushadze ci ha aperto davanti, guardando ai Paesi Baltici non più con l'occhio frettoloso e pressappochista di ciò che abbiamo studiato alle scuole medie.
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