domenica 28 dicembre 2014

la ritirata.



Lo Hobbit:
La Battaglia Delle Cinque Armate
The Hobbit: The Battle Of The Five Armies, 2014, USA, 144 minuti
Regia: Peter Jackson
Sceneggiatura non originale: Fran Walsh, Philippa Boyens,
Peter Jackson e Guillermo del Toro
Basata sul romanzo Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien (Adelphi)
Cast: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Ken Scott,
Graham McTavish, William Kircher, James Nesbitt,
Stephen Hunter, Dean O'Gorman, Aidan Turner, John Callen,
Peter Hambleton, Jed Brophy, Mark Hadlow, Adam Brown,
Orlando Bloom, Evangeline Lily, Lee Pace, Cate Blanchett,
Stephen Fry, Benedict Cumberbatch
Voto: 5.8/ 10
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Come se non fosse passato un anno nel mezzo, il film riprende da dove la storia s'era interrotta: «io sono fuoco» aveva detto Smaug, «io sono morte», e fuoco e morte semina per l'isola di Pontelagolungo mentre il popolo cerca di mettersi in salvo attraverso barchette e pontili; solo Bard ha il coraggio di mettere al riparo i figli e fronteggiare il drago, scoprendo il punto debole della sua pelle e la giusta freccia che potrebbe portare tutti in salvo. Siamo a cosa, minuto nove?, e il drago non c'è più: un'ora di attesa la scorsa volta per assistere all'ingegno digitale umano e a una performance vocale di Benedict Cumberbatch da manuale e adesso si consuma tutto nel primo quarto d'ora in modo che il castello – dove la lucertola riposava – e il tesoro che contiene possano essere in mano ai nani che l'hanno raggiunto e che ne rivendicano la proprietà. Ma l'oro genera mostri nel sonno della ragione e Thorin sta perdendo il raziocinio davanti all'esteso possedimento: Bilbo Beggins, lo hobbit del titolo che se il film non si chiamasse Lo Hobbit probabilmente non ci accorgeremmo nemmeno che è nel film, e se non fosse per la locandina, argutamente coglie lo sfacelo imminente e ruba l'Arkengemma affinché le stirpi altre (elfi, umani) possano pacificamente giungere a un accordo sul da farsi. Sarà guerra, da cui il sottotitolo per questo capitolo finale, e le cinque armate si sfideranno sotto al castello maledetto, sotto a un volo di aquile e corvi e soprattutto per quasi due ore. Basta trama, basta personaggi, solo martelli e alci, lance e frecce, orchi e spaccaterra per assistere, morto dopo morto, alla minuziosa fatica che stabilisce chi avrà diritto a varcare la soglia del portone. La rimpatriata iniziale, ricordata nelle ultime scene senza qualche componente, è ormai completamente dispersa e mezza stecchita e ha fatto scattare la scintilla in una donna elfo inventata rispetto al romanzo di partenza e criticatissima perché impossibilitata all'innamoramento. Se la tensione tra i due era solo sfiorata, durante la scampagnata, questa volta è non solo resa palese ma anche rimarcata, sottolineata, con un dialogo finale da far accapponare la pelle per l'orrore, mentre Evangeline Lily chiede a Lee Pace come mai un lutto d'amore faccia così male, pateticismo che nemmeno dentro a Colpa Delle Stelle. Il pressappochismo sentimentale del tutto gratuito è inframezzato dalle scenette-videogioco della prima volta, quando la divisione in tre capitoli del libercolo di partenza non era così sofferta, non era stata così diluita e spalmata: vedevamo lunghe sequenze pseudo-comiche riprese soprattutto dall'alto a mo' di schermo del computer davanti a World Of Warcraft. Anche l'ironia, la comicità qui fa cilecca alla grande: le due battute di spirito di Bilbo, due di numero, si inseriscono in travestitismi e frecciatine che rasentano la povertà di sceneggiatura, che sguazza e si adagia troppo sulle scene belliche anch'esse inaccettabili per Fisica e Fortuna: orchi di quattro metri che cadono a terra colpiti da una pietruzza lanciata da un nano, personaggi che s'abbracciano e conversano al centro di un campo di guerra dove una distesa di cattivi cade al primo colpo di spada: nessuno dei nostri eroi è mai beccato né cade fracassandosi il cranio anzi allo sgretolarsi di un ponte riesce a non finire nel vuoto saltando da una pietra in rovina all'altra, perché si arrivi a una conclusione affrettata e dal sapore inglese di Alice Nel Paese Delle Meraviglie più che del Signore Degli Anelli che pure spesso cita. L'ultima battuta del libro, scalata qua alla penultima scena, insegna che i grandi cambiamenti possono scaturire anche dalle più piccole creature, come gli hobbit, o come gli anelli. La saga fantasy che ha stravolto i canoni del cinema, e il regista poverello che s'è caricato il peso di questo successo, sono stati fatti oggetto di blockbuster e hanno pensato troppo in grande, aumentando i film a tre e diluendoli fino allo stremo dell'interesse umano per due ore e mezzo di durata ciascuno, e sognando in grande invece che in piccolo come bene invece predicano, hanno concluso la non-trilogia come peggio non si poteva fare.

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