venerdì 20 marzo 2015

ecce bombo.



Fino A Qui Tutto Bene
id., 2014, Italia, 80 minuti
Regia: Roan Johnson
Sceneggiatura originale: Roan Johnson & Ottavia Madeddu
Cast: Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Silvia D'Amico,
Guglielmo Favilla, Melissa Anna Bartolini, Isabella Ragonese,
Marco Teti, Milvia Marigliano, Paolo Giommarelli
Voto: 7.5/ 10
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Se il lavandino della cucina si ottura ché l'idraulico costa caro e poi è sempre irrintracciabile: si lavano i piatti nel lavandino del bagno; se si ottura anche quello: c'è la doccia. Poi succede che uno torna a casa, la sera, sbronzo, si va a lavare, e mette il piede nella pentola della carbonara. Cinque ragazzi, tre maschi e due femmine, sgomberano l'appartamento in cui hanno vissuto per qualche anno – cercando di vendere uno specchio antico per duecento euro, di dedicare qualche minuto al sesto coinquilino, morto in un incidente stradale, avvisare i genitori su Skype che insieme ai consueti bagagli arriveranno a Frosinone con il pancione e magari anche rigare la macchina al padre del nascituro, che s'è trovato una terza amante oltre alla moglie. Svuotano le stanze per lasciare Pisa: chi sogna la recitazione proverà a Milano, chi ha studiato i vulcani ha già un posto in Islanda per tremila euro al mese – Pisa la cui università si intravede dal balconcino dove si svolgerà la loro ultima festa, la cui università è stato luogo d'insegnamento per Roan Johnson (I Primi Della Lista, dove pure c'era il caratteristico Paolo Cioni) a cui era stato affidato un documentario per raccontare quel luogo: testimonianze rubate e riprese tra gli studenti e poi tanto materiale troppo vivo, troppo pulsante per non farlo diventare storia di finzione; e così, cinque attori sconosciuti reclutati, meccanismo produttivo The Co-Producers (cast & crew non hanno ricevuto un soldo ma avranno una percentuale sugli incassi, a film uscito), quattro settimane di riprese con un po' d'improvvisazione – ma nemmeno tanta – e poi Isabella Ragonese che amichevolmente fa una capatina a interpretare (tu guarda!) l'attrice che, di quel gruppo (sono quasi tutti aspiranti teatranti anche nel film), di quell'università, ce l'ha fatta, approdando alla fiction e al fidanzato famoso. Risultato: Premio del Pubblico “Cinema Italia” e Premio Signis all'ultima Festa del Cinema di Roma, recensioni scalpitanti e infinita attesa per (ri)vivere quello che beneomale passano tutti: l'affitto da pagare, il lavoro da cercare, qualche intrallazzo con un coinquilino e le spese alcoliche per la sangrìa dentro ai tupperware, con la vodka meno cara del supermercato, poi la pasta al nulla per asciugare. La freschezza, la spontaneità delle micro-situazioni che ci vengono raccontate, che si susseguono in questi ultimi tre giorni di convivenza, episodi sequenziali anche separati narrativamente ad inquadrare solo le scene goliardiche, di spensieratezza insieme – sono potenziate dall'effettiva vita comunale del cast in quella casa; a questo, e ai dialoghi fluidi, si aggiungono interpretazioni a pennello, a partire dalla straordinaria Silvia D'Amico – e il regista lo sa bene su chi si deve soffermare e su chi no (Melissa Anna Bartolini), e gioca i dialoghi, le liti frequenti ma mai decisive, le rivelazioni, le rotture, sempre coi primi piani giusti. E pensare che il titolo viene dall'ultima frase de L'odio di Kassovitz: forse perché la pellicola è l'istantanea di una generazione che, «mentre sta precipitando, si ripete: fino a qui tutto bene». Ma i nostri cinque eroi, se escludiamo il sesto, ci lasciano su una barca decisi a non affondare, a rimanere a galla, spesso consapevoli di dover tornare dai propri genitori sperando nel lavoro alla ditta del padre, dovendo lasciare il dottorato – ma senza abbattimenti, desiderosi di non sprecare l'attimo che sta svanendo. Scrive bene Federico Pontiggia: «fosse girato in inglese si venderebbe come il pane», perché quante pellicole generazionali, teen, siamo stati costretti a guardare su schermo, quanti film di feste-sfacelo, di baldorie liceali – tutte sempre incastonate nel loro genere, previste, scritte ricalcandosi, dialoghi identici messi in bocca ad altri. Questa volta invece, per una volta, è la realtà che va su schermo: la accompagna l'ironica, azzeccatissima colonna sonora dei Gatti Mezzi, ovviamente pisani anch'essi, matti nell'osare musica anti-narrativa, valore aggiunto alla regia (indie) di molte scene, alla faccia dei botteghini.

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