lunedì 30 marzo 2015
obama.
La Famiglia Bélier
La Famille Bélier, 2014, Francia/ Belgio, 100 minuti
Regia: Eric Lartigau
Soggetto: Victoria Bedos
Sceneggiatura: Victoria Bedos & Stanislas Carré de Malberg
Ispirata al romanzo Les Mots Qu'on Me Dit Pas di Véronique Poulain
Adattamento: Thomas Bidegain & Eric Lartigau
Cast: Louane Emera, Karin Viard, François Damiens,
Eric Elmosnino, Roxane Duran, Luca Gelberg, Ilian Bergala
Voto: 7.4/ 10
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«I film francesi di successo in Italia arrivano tutti» dice Virna Lisi, con una punta di veleno, in un altro film presente in sala; e questo è l'ennesimo, che arriva da noi, ennesima commedia campione d'incassi in patria – per una volta che vola (soffermarsi sull'uso del verbo) basso, che vede Parigi come meta lontana e si consuma nelle campagne, spostandosi dal pane di Gemma Bovery alle mucche di una famiglia di sordomuti che per vivere produce formaggio. Paula Bélier, bélier come montone, figlia maggiore del nucleo di quattro, è l'unica in grado di sentire e parlare per cui tramite verso i fornitori, i commercianti, i clienti del mercato, i giornalisti che vengono a filmare una giornata tipo nella fattoria. Sveglia presto alla mattina, fieno alle mucche, concerto di stoviglie e tegami in cucina che lei soltanto si sorbisce e poi a scuola, come tutte le ragazzine delle medie: un misterioso taciturno belloccio che si vergogna di guardare, un'amica più lasciva che se li è fatti praticamente tutti, lo spagnolo che non s'impara e un corso a scelta: e sceglie il coro, dove – dopo peripezie silenziose – esploderà una voce «pepita d'oro» da affinare ma che potrebbe andare lontano. Ex concorrente di The Voice francese e con un disco, Chambre 12, uscito questo marzo, Louane Emera è la punta di diamante di un cast azzeccatissimo; è un'adolescente alle sue prime mestruazioni, che combatte la cattiveria scolastica verso i suoi genitori disabili, che si carica più del peso che dovrebbe, in casa, che vive il sentirci come una condanna, a detta della madre, che «quelli che ci sentono» non li ha mai potuti sopportare. Ma affronta tutto con la forza che gli adolescenti non sanno di avere, perdendosi nelle minuzie in classe, «rompendosi» di fare un provino, come le nostre Meraviglie ma al contrario: perché sarà il padre a voler gareggiare, scendendo in politica per il bene della comunità (e non dei singoli cittadini), dimenticandosi dell'età della figlia femmina, mettendole il broncio, dicendo infine «avremmo dovuto prendere un aiuto tanto tempo fa». Con un insegnante di musica un pelo frustrato, memore forse de Les Choristes (la separazione dei tenori dai contralti sarà una citazione?), un insegnante diciamo in versione più moderna, Paula spiccherà il volo e non la fuga attraverso il classicissimo repertorio di Michel Sardou abbandonando – anche solo col pensiero – il nido di cui si è presa così tanta cura. Non è, questo, certo, un terreno inesplorato: di film adolescenziali sulla ricerca (e il ritrovamento) di sé e dei propri doni, lo svezzamento sessuale, Le Meraviglie in primis, con canzoni alla Disney Channel, poi, ne è pieno il mondo. Ma in questo caso, all'originalità del linguaggio dei segni, causa e soluzione di tanti divertissements, di tante scenette comiche, padroneggiato in maniera egregia (l'accendersi e spegnersi della lampada per attirare l'attenzione, la mano sulla gola per carpire i tempi di una canzone), fotografata nel suo essere e non nel suo essere un problema, un disagio sociale, una condizione di compatimento o scherno, seppure i ragazzini ci scherzano sopra – all'originalità dei personaggi sordomuti, dicevo (immensi Karin Viard e François Damiens, lei svampita spontaneamente, lui orso intransigente), si aggiunge un'audacia nei dialoghi, una libertà soprattutto nell'affrontare i veri temi cardine dello sviluppo: il sesso innanzitutto, fondo di quasi ogni discorso, il sesso dei genitori che non sentono il chiasso che fanno, il sesso dei ragazzi che non sanno dove finisca e credono di consumarlo negli spogliatoi a scuola, il sesso dei più piccoli che per la prima volta mettono un preservativo. Su una sceneggiatura a plurime mani tanto ruffiana quanto solida, il regista dell'episodio Lolita de Gli Infedeli e del più celebre Prestami La Tua Mano fa centro colpendo piccoli e meno piccoli, nostalgici della periferia e allergici ai cellulari, genitori e figli, confezionando una pellicola composta, educata, sobria, divertente, commovente, non troppo seria e grezza come una pepita d'oro.
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