sabato 7 marzo 2015

tre romanzi di Dostoevskij.



Nessuno Si Salva Da Solo
id., 2015, Italia, 100 minuti
Regia: Sergio Castellitto
Sceneggiatura non originale: Margaret Mazzantini
Basata sul romanzo omonimo di Margaret Mazzantini (Mondadori)
Cast: Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Anna Galiena,
Marina Rocco, Massimo Bonetti, Massimo Ciavarro, Renato Marchetti,
Valentina Cenni, Eliana Miglio, Angéla Molina, Roberto Vecchioni
Voto: 6.8/ 10
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All'accusa che viene mossa a Sergio Castellitto di adattare, ancora e sempre, per lo schermo, i romanzi della moglie, egli così risponde: «ogni regista ha il proprio sceneggiatore di fiducia, il mio è questo». E dopo i penélopecruziani Non Ti Muovere e Venuto Al Mondo volano basso e (solo lei) trascrive i dialoghi di Nessuno Si Salva Da Solo che, rispetto ai precedenti, ha un terzo o anche meno delle pagine per cui invece che a sottrazione si deve lavorare aggiungendo, diluendo, ed è una fortuna. Il problema dei dialoghi di Margaret Mazzantini è però che continuano ad essere battute, risposte secche – aforismi a tutti i costi, che possono funzionare anche su carta ma pronunciati da persone, a volte, risultano barocchetti, seppur ritmici. Per questo motivo forse il lavoro famigliare meglio riuscito è, a mio avviso, La Bellezza Del Somaro, pensato e scritto apposta per il cinema – e dove compare tutta la famiglia, il figlio Pietro incluso. Adesso invece non c'è nessuno: di Castellitto si sente solo la voce, appena, in una scena (hitchcockiana, dice lui). Protagonisti assoluti e indiscussi sono Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca già in sala col tavianesco Maraviglioso Boccaccio (ma in novelle separate), e li vediamo già dall'inizio prepararsi per cenare fuori, genitori divorziati che devono decidere come gestire le vacanze dei figli. Al locale (lei ordina un tortino di spinaci che a malapena mangia, lui cotoletta, carciofo, gelato, caffè) esplodono rimorsi, rancori, rimpianti del matrimonio tra insulti, abbandoni, lacrime e confessioni e una marea di flashback attraverso i quali ricostruiamo l'inizio e il declino di questo grande-amore. La storia funzionava a intermittenza nel romanzo e funziona a intermittenza qui: piegata su se stessa, una volta annunciata e sviluppata, si accascia e rotola verso un sottofinale che è la pecca maggiore, con i due comparsoni Roberto Vecchioni e Angéla Molina coppia-fantasma infilata a forza a filosofeggiare, pagliacciare, per spiegare il senso del titolo già chiaro, prima che una ruffiana canzone (e apparizione) di Lucio Dalla (ormai tappa obbligata dei film italiani degli ultimi due anni) concluda la colonna sonora già ruffiana di suo, sentimentale e ingombrante quando il pathos deve esplodere (vedi alla voce: scene di sesso). Ma il film ha anche molti pregi: dopo aver chiarito già dal menu la differenza di rango dei due, aver dipinto addosso al maschio un'aura da scrittore in cui nessuno, neanche lei crede, e aver dipinto addosso a lei un'anoressia parente delle disfunzioni delle donne dei romanzi/ film precedenti, ci viene chiesto: quanto dolore è legato al cibo? Durante lo sviluppo anti-özpetekiano i momenti di convivialità portano tutti a urla, percussioni, porte sbattute avvicinandosi piuttosto al generazionale Ultimo Bacio e quel trasporto di Muccino. La generazione «tra il crollo del muro e l'undici settembre» viene fotografata in maniera spaventosamente limpida in una festa in casa da manuale: è (siamo) generazione fatta di remake e di importazione, generazione che non ha inventato nulla, e i nostri due eroi ammettono per primi di essere falliti, imbecilli depressi, uno fa un lavoro che non lo soddisfa e l'altra «ha paura dei pedofili, della meningite, di tenere i bambini in braccio affacciata alla finestra». Figlia diretta della maternità della scrittrice, la Trinca è un personaggio rovente e molto approfondito psicologicamente anche se Scamarcio ci dà una performance che gli calza a pennello, rozzo, «tamarro». Il suo monologo sul criceto è brillante, la capacità di ricreare alti e bassi, momenti di estrema tenerezza che si trasformano in litigate-epilogo ancora di più. D'altronde è il lavoro che la Mazzantini sa fare meglio: descrivere i suoi coetanei nel rapporto con la progenie e con il mondo: dopo l'aborto, a Dalia/ Jasmine cade l'occhio su una pancia pregna, come succedeva già alla sterile protagonista di Venuto Al Mondo, ed è un dettaglio intelligente. Ma la volontà di fare un film colto a tutti i costi, di non raccontare una-semplice-storia-d'amore ma elevarla a livelli intellettuali, piazzando Delitto E Castigo o Memorie Del Sottosuolo dove non serve, Il Libro Dell'inquietudine su una panchina o addirittura Non Ti Muovere sullo scaffale di una palese Feltrinelli in bella vista – ecco, questo fa storcere il naso.

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