giovedì 5 marzo 2015

se scarabocchi non c'è più niente.



The Search
id., 2014, Francia/ Georgia, 149 minuti
Regia: Michel Hazanavicius
Sceneggiatura originale: Michel Hazanavicius
Basata sul film Odissea Tragica di Fred Zinnemann (1948)
scritto da Richard Schweizer & David Wechsler
Cast: Bérénice Bejo, Annette Bening, Maksim Emelyanov,
Abdul Khalim Mamutsiev, Zukhra Duishvili, Lela Bagakashvili,
Yuriy Tsurilo, Anton Dolgov, Mamuka Matchitidze
Voto: 7/ 10
_______________

“Dopo The Artist” – dicono tutte le locandine, tutti i trailer e gli articoli sui giornali – dopo The Artist Michel Hazanavicius torna al cinema e al Festival di Cannes senza fare lo stesso effetto ma continuando a vivere di quello fatto in precedenza, perché senza The Artist e senza i cinque Oscar vinti (incluso quello alla regia) per sua stessa ammissione questo film non si sarebbe fatto: due ore e mezzo di anti-kolossal in quattro lingue (francese, inglese, russo e ceceno; ma da noi le prime due sono ugualmente doppiate in italiano) sfruttando il soggetto (pure premio Oscar) di Odissea Tragica di Fred Zinnemann che in originale si chiamava come questo e che effettivamente ben si prestava a una storia epica di dolori e redenzioni universali da fazzoletti. Ma che invece restava in un tono fiabesco e positivista pur parlando di un bambino reduce da un campo di concentramento e della madre che disperatamente lo cerca, non accettando la notizia della sua morte, aiutando quindi i centri di accoglienza per i minori orfani mentre la creatura si rifiuta di parlare in casa di un buon soldato. Qui la vicenda è intelligentemente postposta: siamo nel 1999 e il mondo non si accorge che con la scusa di repressioni terroristiche la Russia invade (di nuovo) e bombarda abitualmente la Cecenia, senza trovare intoppi nella politica estera e interna, e un bambino di nove anni, insieme a suo fratello, dopo aver assistito all'uccisione di entrambi i genitori da un manipolo di militarotti (incipit e inizio accavallati in modo brillante) scappa portandosi dietro niente, lasciando il fratello fuori dalla casa di qualcuno e raggiungendo una casa di accoglienza per giovani dispersi, da cui ancora scappa. A Montgomery Clift (breve momento per riflettere sulle fattezze di quell'attore) si sostituisce Bérénice Bejo, moglie del regista e avviata alla carriera internazionale già con l'iraniano Il Passato; è una funzionaria dell'Organizzazione Europea per i Diritti Umani sconfortata dall'inutilità del suo lavoro di fronte ai membri della commissione che nemmeno l'ascoltano quando riporta i dati della tragedia. Trova il bambino per strada, un giorno, e lo accoglie in casa affezionandosene silenziosamente (a differenza di Clift), insegnandogli il francese (che per noi è italiano) e lasciandolo ballare i Bee Gees. La sorella di questo, intanto, sopravvissuta al genocidio, recupera il primo neonato e disperatamente si mette in cerca del più grande, incontrando Annette Bening e aiutandola nel suo lavoro umanitario. In parallelo prosegue la storia apparentemente sconnessa di Kolia, adolescente russo sorpreso a fumare per strada e costretto all'esercito prima, ai numerosi atti di bullismo da parte dei camerati poi, che sfoceranno in un'animalesca imposizione primitiva sul branco, una corsa all'accettazione ottenuta con la violenza e, infine, la chiusura inaspettata del cerchio narrativo che ci fa uscire dalla sala sfiancati, disperati politicamente ma soddisfatti dei 149 minuti spesi. In realtà proprio questa è la più grande accusa mossa alla pellicola: «le serie televisive» dice il regista «nella loro durata permettono un maggiore approfondimento psicologico dei personaggi», ma non si accorge forse che questa non è una serie ma una sola pellicola, effettivamente diluita. La cecità giunge soprattutto per il trasporto emotivo con cui si è avvicinato al progetto: «volevo porre l'attenzione su una tragedia che il mondo ha già dimenticato, indaffarato nell'affrontare altre tragedie». La stampa risponde così: «intende attualizzare il classico melodramma bellico popolare, all'insegna dell'emotività, con buona pace dell'analisi critica». Ma messe da parte la Bejo decisamente sottotono e la Bening decisamente fuori luogo e il pathos con cui viene affrontato certo materiale guerrigliero – che va dall'ovvio all'atteso – e che non si risparmia certe crudezze – alla sceneggiatura a incastri perfetti, in cui mai niente viene meno e che si apre e si chiude in maniera epocale, si aggiunge la vicenda di formazione di un ragazzino come tanti, trasformato in macchina da guerra insensibile e poi in bestia: una raffinatezza nel raccontare la formazione militare che forse non vedevamo dall'incipit di Apocalypse Now.

Nessun commento:

Posta un commento