domenica 17 maggio 2015
di pubblica crocifissione.
Calvario
Calvary, 2014, Irlanda/ UK, 102 minuti
Regia: John Michael McDonagh
Sceneggiatura originale: John Michael McDonagh
Cast: Brendan Gleeson, Chris O'Dowd, Kelly Reilly,
Aidan Gillen, Dylan Moran, Isaach De Bankolé,
M. Emmet Walsh, Marie-Josée Croze, Domhnall Gleeson
Voto: 7.6/ 10
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Un teatrino di marionette: e per prima vediamo quella di padre James, uno dei due preti della parrocchia, intesa nell'accezione geografica del termine, del quartiere ecco, del villaggio, del teatro appunto in cui si muovono le altre marionette; la seconda non la vediamo: si cela nel confessionale insieme al segreto che le compete, e racconta al sacerdote che da piccolo un altro prete lo violentava costantemente, lui e gli altri suoi compagni, senza motivo: per questo adesso si sarebbe vendicato colpendo un innocente – lui stesso – innocente ma altrettanto meritevole del trattamento per chiudere un cerchio karmico che alla Chiesa non spetta. E da qui parte il calvario: alla ricerca di quella voce minacciante del confessorio, alla ricerca della domenica, giorno di messa, per essere ammazzati, immolati per un peccato altrui – questo sì che alla Chiesa invece spetta. Nel villaggio, nel teatro le marionette che si muovono non sono tante: tutte possibili colpevoli e tutte marce, marcite all'interno, becere, disgustose, marionette/personaggi che amano il felching, che pisciano sui quadri di valore, che picchiano le proprie compagne o amano farsi picchiare, che intessono relazioni con gigolò fieri del proprio mestiere, del proprio ano consumato, della propria consumata bocca – marionette animate da valori beceri, marci altrettanto nell'interno del proprio intento, disilluse, spente, che quindi vedono il marcio in tutto, lo prevedono. Queste marionette, a turno, in questa messa in scena tutta teatrale scandita dai giorni della settimana e da una musica nostalgica de Il Gladiatore, troppo epica per una storia del genere in fondo così intima, così ristretta, ristretta a un palco e una manciata di interpreti, queste marionette a turno incontrano il fedele Brendan Gleeson, sopraffino nella sua fiera interpretazione, e gli vomitano addosso tutto il peggio di loro, tutti i succhi gastrici che hanno da vomitare; fa eccezione la figlia avuta prima di incontrare la fede, da una donna morta che ha segnato la perdita del terreno per entrambi. «Ho perso la mamma e poi ho perso te» dice la ragazza, dopo aver tentato il suicidio commettendo l'errore che commettono tutti. Fiore candido e fuori luogo, è tenuta all'oscuro della morte imminente, della morte del cane – ma l'incendio della parrocchia non glielo si può mascherare. Affiorano, a questo punto della sporcizia strabordante, le vecchie dipendenze alcoliche di James, la violenza ingiustificata, gli scatti irrazionali. La provenienza irlandese e la fotografia magistrale di Larry Smith ricorderebbero un altro esordio-capolavoro, Hunger di Steve McQueen: ma quello era fatto di silenzi e di luridume vero, spalmato sulle celle dei prigionieri politici; qui la voce è prepotente, i dialoghi sono lo scheletro della trama scarna e inesistente, e l'odore di bruciato esce dai corpi, è nascosto sotto spoglie di apparenza algida tipica di chi esce dalla chiesa con la coscienza lavata. Tutti sono peccatori, sembra dirci John Michael McDonagh, abbandonando il tema della pedofilia fino all'ultimo sospettata ne Il Dubbio, capovolgendo Dieci Piccoli Indiani e lavorando in sottrazione (non vediamo mai il prete in casa propria, mangiare, dormire, dire messa). Tutti sono peccatori ma esserlo non è una condanna eterna perché, anche tardi, ci si può convertire – pare dirci. Eppure non è facile: essere peccatori o essere puri, né essere confessori e dover combattere costantemente contro i mulini, a due passi dal mare purificatore e, forse, primordiale. Abbandona anche, McDonagh, le preferenze comedy del fratello, autore di In Bruges e 7 Psicopatici, colpito nel profondo dall'impianto teatrale che era di Shakespeare e poi di Beckett, dall'etica ecclesiastica, dalla furia iconoclasta non di facile decifrazione e, soprattutto, da una furia di cinismo non alla portata di chiunque.
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