giovedì 14 maggio 2015
il film russo.
Leviathan
Leviafan, 2014, Russia, 140 minuti
Regia: Andrey Zvyagintsev
Sceneggiatura originale: Oleg Negin & Andrey Zvyagintsev
Cast: Aleksey Serebryakov, Elena Lyadova, Roman Madyanov,
Vladimir Vdovichenkov, Anna Ukolova, Sergey Pokhodaev,
Aleksey Rozin, Igor Sergeev, Igor Savochkin
Voto: 8/ 10
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Libro di Giobbe, Sacre Scritture. Kolia, meccanico, vive con il figlio e la compagna (la madre del ragazzo è morta) in una cittadina nel nord della Russia dimenticata da Dio, diremmo – e invece pare che Dio se la ricordi benissimo: al suo essere impulsivo, violento, rozzo, dispotico Egli risponde con le avances che il sindaco locale fa ai terreni dove sorge la palafitta dell'uomo: diviso tra le ingenti donazioni alla Chiesa e la foto di Putin sulla scrivania, questo non vuole sentire scuse nella transizione verso l'acquisto; ma Kolia non può farsi sbattere fuori casa: consulta un vecchio amico, un fratello, avvocato di Mosca e compagno al fronte, il quale scopre corrotte manovre nel passato del politico della cittadina. A questo punto non è più Dio ma il sindaco a intervenire nella tranquilla vita di Kolia: per vie traverse, una delle quali vede un (perdonato) tradimento ma due spaventose strade per tutti quelli che gli stanno accanto. Una dopo l'altra, come al Giobbe biblico, gliene succederanno di ogni – e solo la vodka pura, calata a bicchieri interi, affievolirà l'effetto. Dissacrante sotto tutti i fronti, il film è «il ritratto di una nazione umiliata», hanno scritto alcuni; umiliata: dai poteri dei primi cittadini che per assurdo manovrano con più facilità delle alte cariche il popolo sottostante; dai poteri delle parrocchie di paese che per assurdo fanno colazione coi primi cittadini. Andrey Zvyagintsev ci avvisa però già da subito, nell'intro del film: non sarà un percorso facile e non sarà un viaggio popoloso: siamo in una cittadina nel nord della Russia dove pare che niente sia vivo, le case sono crollate a pezzi, delle barche restano i ruderi incastrati tra la sabbia e l'acqua che nessuno va a togliere e infine dei presunti leviatani si hanno gli scheletri imponenti davanti ai quali piangere le proprie sventure. Ma anatomicamente forse siamo davanti a una balena: il leviatano del titolo è quello di Hobbes, perché il film è anche filosofico: è politico, è religioso, e allora bisogna donarsi a lui, lasciargli dire quello che ha da dire anche quando a parlare sono le alte cariche giuridiche che a malapena prendono fiato leggendo gli atti, in un pianosequenza estenuante, o gli uomini d'affari in macchina o le compagnie di amici ritrovatesi a bivaccare sugli scogli: si parla tanto, tutti parlano tanto ma non è facile stargli dietro, bisogna avere fede e pazienza: e se ne esce ripagati. Perché Zvyagintsev (ispirato da un fatto di vera cronaca in cui un singolo lotta contro torti e ingiustizie, ricalcando Il Ritorno Leone d'Oro a Venezia 2003) fa satira anche sul cittadino, dopo averla fatta sull'alto rango: anzi fin dal principio la fa su di esso. Motivo per cui è stato premiato con la Palma alla Sceneggiatura a Cannes 2014, ha vinto un Golden Globe come Miglior Film Straniero battendo Ida ed è stato candidato all'Oscar 2015 – quell'Oscar da cui il compare d'uscita nelle sale italiane, Forza Maggiore, è stato escluso. Alla fine della spirale narrativa però, quando Kolia è di fronte alla Religione, non c'è più speranza verso il Signore, non c'è più illusione di vivere, sottomissione alle istituzioni – né ribellione alla punizione divina. Non c'è, neanche, la ricompensa per la sofferenza, come la Bibbia vorrebbe. Non c'è altro, solo uomini, che si gestiscono tra di loro, in qualche modo: e ci sono sempre quei ruderi di barche, quelle case fatiscenti, gli scogli e gli scheletri – che nessuno va a togliere.
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