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lunedì 11 gennaio 2016
swap.
La Grande Scommessa
The Big Short | 2015 | USA | 2h 10min
Regia: Adam McKay
Sceneggiatura non originale: Charles Randolph & Adam McKay
Basata sul romanzo The Big Short – Il Grande Scoperto
di Michael Lewis (Rizzoli ETAS)
Cast: Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling, Brad Pitt,
Marisa Tomei, Melissa Leo, Karen Gillan, Aiden Flowers,
Charlie Talbert, Harold Gervais, Margot Robbie, Selena Gomez
Voto: 7.6/ 10
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Christian Bale suona la batteria, scalzo, nel suo ufficio: la musica a palla, biascica parole, messaggi in segreteria, mail – e fuori i suoi colleghi contano il numero di giorni che è stato chiuso là dentro, «ogni tanto lo fa». Si chiama Michael Burry e dopo aver letto fascicoli di migliaia di pagine si rende conto di un gap nei contratti del mercato immobiliare, contratti che noi non capiremmo mai, dalle sigle e dai cavilli che ci vengono spiegati, più o meno metaforicamente, da Margot Robbie nuda in vasca da bagno che beve champagne, Anthony Bourdain in cucina con del pesce di tre giorni, Selena Gomez al tavolo di un casinò – ci spiegano nel dettaglio terminologie e stratagemmi ma noi continuiamo a non capire, soprattutto perché si parla alla velocità della luce e si parla in dozzine di persone nella stessa stanza che all'unisono danno del pazzo a Burry, ormai convinto che Wall Street sia vicina al crollo e scommettitore di miliardi di dollari contro azioni che, nel 2005, parevano sicuramente felici e alle stelle. Gli sta dietro prima: Ryan Gosling, che torna in sala dopo una parentesi da regista (Lost River, «un impegno molto maggiore del recitare», girato a Detroit, «città particolarmente colpita dalla crisi»), nella voce dentro e fuori campo Jared Vennett: «per un attore un ruolo del genere è un sogno, nel film fa letteralmente di tutto: passa dal dramma alla commedia nella stessa scena, interagisce col pubblico, è stato uno spasso». Gli sta dietro poi: Steve Carel, una metamorfosi, che dopo Anchorman 1 e 2 torna a lavorare con Adam McKay (storico sceneggiatore del Saturday Night Live) per interpretare l'esistente e vivo Mark Baum, che grazie a una telefonata sbagliata venne a sapere della mossa di Burry e a metà tra la disperazione per le perdite economiche del Paese e la consapevolezza di poter fare i milioni, si aggiunse alla grande scommessa. Oltre a Melissa Leo e Marisa Tomei, due Premi Oscar che si intravedono appena, completa il cerchio Brad Pitt, ruolo piccino di mentore selvatico di due wannabe pescecani post-adolescenti, anche produttore della pellicola con la sua Plan B, «una delle società più appassionate e coraggiose della Hollywood odierna» ha dichiarato Carell. Come si dice, cast stellare per due ore abbondanti non facili in cui si mischiano foto a schermate di computer, videoclip musicali a materiale d'archivio, immagini di repertorio a fiction storicizzata ed esagerata, con personaggi che ogni tanto parlano allo spettatore, ogni tanto parlano fuori campo, con la telecamera che a volte è lontanissima a volte anatomicamente vicina: e il cast che improvvisa, pedinato dalla macchina da presa, a mo' di quel mockumentary che va tanto di moda adesso. Un pastiche partecipato e incredibilmente calibrato dal suo autore per fare una feroce satira al sistema contemporaneo, con tanto di catastrofica previsione su quello che ci aspetta (vedi alla voce: acqua). Addio commediole demenziali con Will Ferrell: McKay si fa burattinaio (e gli viene facile con quattro maschi del genere) di un quadro che fa riflettere chi non ha potere e fa indignare chi dovrebbe riflettere, e mira a far nascere quel germe che scatena le rivolte – compito dignitoso del cinema. Ma ammetto: chiede allo spettatore troppo.
sabato 4 gennaio 2014
il forno scientifico.
American Hustle - L'apparenza Inganna
American Hustle, 2013, USA, 138 minuti
Regia: David O. Russell
Sceneggiatura originale: Eric Singer & David O. Russell
Cast: Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Jeremy Renner,
Jennifer Lawrence, Louis C.K., Jake Huston, Michael Peña,
Alessandro Nivola, Elisabet Röhm, Shea Whigham
Voto: 7.7/ 10
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Squadra che vince non si cambia e dopo il successo di critica di The Fighter e il successo di pubblico de Il Lato Positivo, il regista che si ricordava per I ❤ Huckabees e prima ancora per Three Kings solo per le scazzottate con gli attori (George Clooney) e le liti furenti con le attrici (Lily Tomlin) raccoglie quegli interpreti che l'hanno caldamente ringraziato vincendo (Christian Bale, Jennifer Lawrence) o candidandosi (Bradley Cooper, Amy Adams) a un Oscar e mischia la briosa leggerezza nonsense di uno alla virilità corale dell'altro facendo un salto di quarant'anni indietro ma sempre rimanendo in quella parte di America un po' marginale, un po' privata del suo Sogno. Ci è chiaro dalle prime scene: Irving Rosenfeld, un Christian Bale grasso che sottolinea l'elasticità fisica di questo attore camaleonte, per campare gestisce cinque o sei lavanderie, un traffico illecito di quadri d'arte spesso falsi e un finto servizio di prestiti che permette di avere cinquantamila dollari dandone cinque. È il pezzo di storia vera, come ci dice la scritta in apertura: insieme alla compagna Sydney Prosser, il truffatore Rosenfeld aiutò l'FBI a smascherare i corrotti e i mafiosi all'interno della politica americana per non andare in prigione, scoprendo egli stesso, per primo, che la gente coinvolta era sempre più importante di quella appena incastrata, fino al capo di tutte le mafie (un altro attore riciclato, un Robert De Niro che rispolvera la parlata da padrino). In apertura ci viene in realtà anticipato tutto: gli anni '70 dei titoli di testa ben fatti, il grottesco della prima sequenza, in cui Bale si riporta accuratamente i pochi capelli rimasti da una parte, la presenza di un triangolo nato per affari, tra Bradley Cooper e colei che si sobbarca gran parte della pellicola, Amy Adams, smagliante come poche altre volte, e le voci fuori campo che si alternano per raccontare a volte troppo frettolosamente a volte troppo dettagliatamente i pezzi di storia che ci mancano e che volontariamente mancano, e poi la struttura narrativa a salti, che comincia, torna indietro, e poi va avanti. La regola, però, si accascia a metà film, quando compare anche Jennifer Lawrence tanto elogiata per una parte piccola e non così degna di nota e che si trascina dietro tutti i problemi che verranno, i dettagli spifferati all'uomo sbagliato, la civetteria troppo messa in mostra. Ragazza madre, la Lawrence ha un figlio che è il motivo per cui Bale non si decide a scappare con la Adams e fa un po' qui e un po' là, facendosi usare da Cooper e diventando involontariamente amico e confidente di Jeremy Renner, il sindaco buono che essendo costretto ad accettar mazzette finisce dalla parte del torto. In tutto questo minestrone, le cose si complicano continuamente e lo spettatore attento sa che solo un morto potrebbe mettere fine al lunghissimo film; ma il morto non c'è mai perché nessuna pistola spara e se lo fa è solo al soffitto. Il grottesco infatti non nasce da una violenza esagitata mista allo humor involontario (perché di fatto non ci sono battute; fanno ridere i movimenti di camera, a partire dalla tipica carrellata in avanti troppo veloce), ma dagli accentuati costumi e dalle accentuatissime acconciature, esagerate, appariscenti, unici veri elementi di quegli anni '70 che non sono effettivamente stati ricostruiti perché quasi tutte le scene sono al chiuso, di dialoghi in stanze, e così, si sa, è più facile saltare nel tempo (vedere alla voce Argo). L'imperfezione strutturale, troppo prolissa all'inizio che pare essere un film alla Bonnie & Clyde, troppo spaccata in due, desiderosa di colpi di scena e tensioni non sempre azzeccati, viene perdonata grazie a questo quintetto di attori in stato di grazia, che accettano ruoli che non sempre li fanno splendere ma ubbidienti al loro regista, che ancora una volta si dimostra non tanto bravo sceneggiatore quanto eccelso direttore. Sebbene, come tutte le cose troppo elogiate dagli altri, rimanga l'amaro in bocca.
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venerdì 31 agosto 2012
i cittadini di Gotham.
Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno
The Dark Knight Rises, 2012, USA, 165 minuti
Regia: Christopher Nolan
Sceneggiatura originale: Jonathan Nolan & Christopher Nolan
Soggetto: Christopher Nolan & David S. Goyer
Basato sul personaggio di Batman creato da Bob Kane
Cast: Christian Bale, Tom Hardy, Anne Hathaway, Gary Oldman,
Joseph Gordon-Levitt, Marion Cotillard, Morgan Freeman, Michael Cane
Voto: 8.5/ 10
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Tutto, grazie a Dio, prima o poi finisce. E quest'anno è l'anno in cui ciò accade: prima Harry Potter poi Batman e molto presto la Twilight Saga. Cosa accomuna queste multilogie? Ad esempio, la loro presenza simultanea nella lista dei film che hanno incassato di più nella storia del cinema (attenzione: non nel 2012; nella storia del cinema dai Lumière a oggi); Harry Potter 7.2 è quarto, questo Cavaliere Oscuro è quindicesimo e New Moon è quarantasettesimo).
Per riuscire nell'impressa di bissare il successo di Inception (considerato dal pubblico il miglior film degli ultimi anni e dal sottoscritto una mera operazione d'accaparramento di Oscar) il buon Christopher Nolan abbandona la macchina da scrivere analogica davanti alla quale ha partorito i suoi capolavori Memento e The Prestige e continua a usare un ultrabianchissimo Mac che gli ispira trovate digitali ed epopee di effetti visivi a discapito delle tanto amate trame tutte intrecci e ingarbugliamenti. Riprende, non senza qualche iniziale riserva, la trilogia a cui aveva dato inizio con Batman Begins (visto da dieci persone in tutto e vincitore di un Razzie) e che l'aveva portato poi alla fama mondiale e agli Academy Awards con The Dark Knight (ciao, Heath Ledger); il cattivo di turno è un titanico Tom Hardy aka Blane, maschera polipesca in faccia e stazza da bue, con un turbolento passato più leggendario che veritiero, che ha in mente un minuzioso quanto folle piano per far saltare in aria la città di Gotham (lui compreso?). Dalla sua parte ha una quantità immane di persone e personaggi, dalla polizia a Catwoman, figura assente nei film precedenti che qui compare con le curve magre di Anne Hathaway che sorprendentemente convince del difficile ruolo - ed è, vi dirò, il personaggio meglio riuscito. Pare che nei suoi piani il cattivo Blane non abbia intoppi, dato che Batman non si fa vedere da otto anni e la popolazione ce l'ha con lui per la morte di Harvey Dent (Aaron Eckhart che compare in qualche foto, cattivo del film precedente), motivo per il quale Gary Oldman si porta un macigno sulla coscienza che non trova mai l'occasione buona di scagliare come i bravi peccatori. E la nuova recluta, la “testa calda” Joseph Gordon-Levitt, poliziotto che sale di grado, piano piano assisterà alla sua redenzione. Tutte facce azzeccate, inclusa la capatina della bella e brava Juno Temple (è la sorella ladruncola della Hathaway) e quella di Marion Cotillard, così contenta del lavoro fatto con Nolan per Inception.
Più di due ore e mezzo di film per un totale di 30 minuti di inseguimenti, 60 di mazzate, 15 di scene inutili tipo l'ansia di salvare un autobus di ragazzini quando la bomba sta per esplodere (perché solo loro?, perché proprio loro? Mah). Ma a Nolan si perdona tutto, perché lui sa come si fa il cinema e allora ci mette due tre colpi di scena spiazzanti alla fine, e una chiusura che lascia la bocca aperta e le porte pure, che ci fa domandare «ma come? Ma adesso continuerà in un altro senso?», il tutto mentre sotto all'immagine scorre la musica di Hans Zimmer - che scaccia James Howard dei Batman precedenti. Sicuramente il migliore della trilogia, forte del fatto che il pubblico è incollato sulla poltroncina mentre l'Apocalisse implode, mentre ci si domanda se poi il protagonista morirà - essendo l'ultimo film. Ma quanto surrealismo. A partire da tutto questo patriottismo di cui Gotham City gode: pare sia l'unica città sulla faccia della terra, il fulcro di ogni cosa; il sindaco è una divinità, i cittadini non si schiodano da quei marciapiedi, se salta in aria Gotham City è la catastrofe, perché Gotham City quante ne ha passate!, questa brava gente quante ancora ne deve patire!
Già si contano, nell'aria, le nominations ai prossimi Oscar - che, senza Il Grande Gatsby, hanno la strada più che spianata. La statuetta più meritata di tutte: la fotografia.
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