lunedì 6 maggio 2013
io sono il vento.
Miele
id., 2013, Italia, 93 minuti
Regia: Valeria Golino
Sceneggiatura originale: Valeria Golino, Francesca Marciano
e Valia Santella
Ispirata al romanzo A Nome Tuo di Mauro Covacich (Einaudi)
Cast: Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero De Rienzo,
Vinicio Marchioni, Iaia Forte, Roberto De Francesco
Voto: 8.3/10
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Apparentemente basato su Vi Perdono di Angela Del Fabbro, come scrivono alcuni, l'esordio dietro alla macchina da presa di Valeria Golino, e dietro le quinte della produzione di Riccardo Scamarcio suo compagno, prende deliberata ispirazione dalla seconda metà del romanzino A Nome Tuo di Mauro Covacich, sempre Einaudi, senza dire che la Del Fabbro non esiste (ma Covacich sì) e lui è autore di entrambe le cose, e così mischia quei (sopran)nomi e queste ambientazioni per raccontare la storia (originale) di Irene, in arte Miele, che se si entrasse al cinema senza sapere in cosa consista quest'arte sarebbe ancora meglio, perché la Golino non ce lo dice subito, ci lascia aguzzare l'ingegno, stare attenti ai dettagli, e dopo una porta aperta e richiusa e un'istruzione data e una musica partita ci domandiamo: che è? In questo stesso modo farà poi tutto il film, intriso di una storia impeccabile che solo apparentemente è stata resa allo stesso modo, o forse lo è ma la troppa attenzione ci ha fatto sfuggire qualche dettaglio. Di Miele/ Irene cominciamo a sapere che va a Padova all'università (e ci va?), che incontra il suo professore per scrivere la tesi (e la scrive?), che è orfana di madre (morta per malattia?) e ogni tanto si reca in Messico (e gli altri lo sanno?) per comprare barbiturici per sopprimere i cani. E i cani, li sopprime?
La verità si mischia alle bugie che racconta e in un modo incredibilmente non didascalico, qualità che raramente appartiene al cinema italiano, e pezzi interi di trama non ci vengono dati, o ci vengono semplicemente abbozzati, com'è giusto che sia, e in un lasso di tempo abbastanza grande (abbastanza per includere più viaggi in America del Sud e uno ad Istanbul) Jasmine Trinca addobbata a Paola Cortellesi da giovane si sobbarca l'intera pellicola senza essere mai assente da nessuna scena. Il suo mestiere – che a questo punto non rivelerò – la fa sottostare a determinate regole di comportamento e segretezza, e nella sua tremenda solitudine (scalfita a volte da un uomo probabilmente sposato e molto spesso da canzoni di vario genere) si ritrova in case di sconosciuti ad assistere ad amori infranti, madri straziate, davanti a librerie piene di Einaudi e Adelphi (che appartengono, guarda un po', al presunto malato di AIDS gay la cui sorella, Iaia Forte, era stata incredibilmente più fuori luogo ne Il Volto Di Un'altra).
E la macchina da presa, e quindi la Golino, è sempre lì dove nessun altro andrebbe, o quasi; ora è traballante ora è ferma immobile, ora è commoventemente poetica e ora si avvicina al ghetto romano. Dall'altra parte del ciak, la Trinca va sempre benissimo e sempre è naturale ma quando ha troppe battute sale un tantino sopra il tono, al punto che ci sorprende nella delicatissima scena del vetro in discoteca, alla quale arriviamo subito dopo la prima morte volontaria: Io Sono Il Vento in sottofondo, un'anziana donna incapace di sostenere la malattia e il marito devoto a scartarle il cioccolatino preferito. Parrebbe una scena qualsiasi della seconda metà di Amour, ma sebbene non ci sia né un'intercettazione telefonica né un cane investito, forse per il modo in cui viene resa la vita di Irene forse per il rapporto burrascoso in principio con l'Ingegnere (magistrale Carlo Cecchi), ci viene da pensare a Film Rosso, con le stesse cose non viste (là era il fidanzato, qui la casa di lei) e con un finale poi non tanto diverso. Paragone superbo: nel senso che, sebbene imperfetto, Miele rappresenta esattamente il cinema italiano che non abbiamo più, e che grazie a Dio ci rappresenta nell'Un Certain Regard di questo Festival di Cannes.
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