martedì 21 maggio 2013
i trenini migliori di tutta Roma.
La Grande Bellezza
id., 2013, Italia, 145 minuti
Regia: Paolo Sorrentino
Sceneggiatura originale: Paolo Sorrentino & Umberto Contarello
Cast: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli,
Carlo Buccirosso, Pamela Villoresi, Galaeta Ranzi, Iaia Forte,
Serena Grandi, Roberto Herlitzka, Isabella Ferrari,
Giorgio Pasotti, Luca Marinelli, Lillo Petrolo
Voto: 8.3/ 10
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Una citazione da Céline (Ferdinand, Viaggio Al Termine Della Notte) che ci si poteva risparmiare, uno scoppio di cannone e il film comincia: Roma, l'afa, il turismo, le prove del coro, l'acqua della fontana in pieno giorno. Poi: Roma, alla sera, su una terrazza con la scritta Martini a coprire l'orizzonte (come succedeva a Renzo e Luciana in Boccaccio '70) e un manipolo di starlette e attorucoli decaduti e non, ereditieri e gente che «di mestiere fa il ricco», giornalisti, direttori che si dimenano, si divincolano, si disperano sopra e sotto i cubi e i tavoli di drink e spettegolano di loro stessi se Serena Grandi, una Saraghina moderna, salta fuori da una torta prima che ci si metta a ballare tutti insieme la Colita.
E il film comincia, e il film è di Federico Fellini: che ha già girato una pellicola che si chiama Roma e che ha già girato una pellicola che si chiama La Dolce Vita. Nel primo ci si dedicava agli episodi che Roma la fanno o la compongono geograficamente (il raccordo), nel secondo ci si dedicava a chi la vive, ai paparazzi e alle dive straniere, alle bivaccate nelle case per far niente o far molto poco, dirsi che una sta col trainer e l'altra dà tutto in beneficenza, volersi bene senza entrare nei particolari – e sfociare in cacce ai fantasmi fortemente riprese qui con una Sabrina Ferilli ammantellata che, candelabro in mano come nel '60, si accinge a varcare soglie di cui Giorgio Pasotti ha le chiavi, nel buio. Ma pare nessuno l'abbia notato. Come nessuno ha notato la giraffa al centro del Colosseo, eco del rinoceronte di E La Nave Va..., o le prostitute divertite in una scena di sfuggita, le colleghe di Cabiria, le contesse vestite a festa coi fiori nei cappelli di Giulietta Degli Spiriti per andare a incontrare il cardinal Roberto Herlitzka a cui il protagonista, scrittore che non scrive libri, chiederà consigli come il regista che non gira film Guido Anselmi di 8 1/2. Ma nessuno pare l'abbia notato, dicevo, perché basta dire «Fellini» e «La Dolce Vita» (fischiatissimi in Francia ma vincitori della Palma) che a Cannes si storce il naso, o meglio, come Paolo Sorrentino ha fatto notare, la stampa italiana storce il naso. Anche per Il Divo s'era trovavo lo stesso problema («è un prodotto troppo italiano, che all'estero non verrà colto») e invece s'era candidato a un Oscar (per il trucco, ma vabbè). Dopo il Neorealismo di Reality, di cui comunque si stente l'eco, ritorniamo a farci rappresentare da un regista – che a Cannes è di casa – che ricalca le antiche glorie, e pare le appiccichi insieme più che idolatrarle. Utilizza, come Fellini, ma come anche se stesso, il tecnica della non-narrazione raccontando per episodi sconnessi, tra i quali potrebbe passare un giorno come un mese, una storia non di un uomo che ci viene detto molto sensibile (e poi non lo è) ma di una società, la nostra, che pubblica foto sempre e comunque, si vanta di amare Proust «ma anche Ammaniti», intavola conversazioni a base di ricette quando dovrebbe redimere dai peccati, chiama artista una che si lancia nuda contro il muro. La satira sociale è altissima, soprattutto quella religiosa, nella Roma del Vaticano, ma è mascherata, da una Grande Bellezza che non si trova, e non si trova perché non si sa dove cercarla: Toni Servillo, immenso come al solito, è un palese omosessuale che cambia una donna per notte e ama «l'odore delle case dei vecchi» piuttosto che «la fessa», ma poi si spalma su questo balcone di una casa che non vediamo in cui la mediocrità e l'ipocrisia e la mondanità spicciola e squallida vanno a dormire alle sei dell'alba. La sua sensibilità si perde e si ritrova davanti a fenicotteri in riposo e foto di una vita vissuta, ma ancora non basta per tornare a questo libro da scrivere, da decidersi a cominciare, sebbene Fanny Ardant scenda le scale e la Santa suora le salga in ginocchio.
Per questo artistico/ letterario/ satirico ritratto della Roma decadente di oggi, Sorrentino trova 8 milioni di budget e una fila di attori desiderosi di aiutarlo, e prende Carlo Buccirosso, Isabella Ferrari, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, ma di tutti è il personaggio di Carlo Verdone, a sorpresa, che rappresenta la morale: «Roma mi ha molto deluso», e me ne ritorno per sempre al paese. Se ne esce distrutti, disincantati, e dispiaciuti soprattutto perché di tutta la filmografia del regista questo è il lavoro meno rigoroso tecnicamente e con la potenza musicale più blanda. Ma è quel cinema italiano, tipo Reality di cui prima, di cui dovremmo essere fieri, e che ai festival invece fischiamo.
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è davvero un brutto film
RispondiEliminadaniele
Cinico, decadente, sfilacciato, kitsch, barocco, arrogantemente autoriale e smaccatamente snob.
RispondiEliminaMe ne sono innamorato e lo rivedrei centouno volte consecutive.
Andu