sabato 8 novembre 2014

Gargantua.



Interstellar
id., 2014, USA/ UK, 169 minuti
Regia: Christopher Nolan
Sceneggiatura originale: Jonathan Nolan & Christopher Nolan
Cast: Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain,
Michael Cane, Wes Bentley, Matt Damon, Casey Affleck, Mackenzie Foy,
Elyes Gabel, Topher Grace, Ellen Burstyn, Jon Lithgow, Colette Wolf
Voto: 6.5/ 10
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A un'ora e mezzo dall'inizio mi domando: ma dov'è Jessica Chastain, il cui nome è scritto sulla locandina? E Jessica Chastain compare, chiamata al mio cospetto, e mi dico: se adesso il film parla di lei gli dò dieci. Ma il film non parla di lei: non smette mai di parlare di Matthew McConaughey, l'attore dell'anno, il nuovo film di Christopher Nolan che è il regista del decennio. Anni fa, questo genietto londinese ci regalò Memento, ci regalò The Prestige, sceneggiature scritte insieme al fratello (come questa) fatte di incastri logici pazzeschi, di richiami e rimandi, scatole cinesi, svolte inaspettate, promesse, prestigi. Poi è arrivato Batman ed è stata la fine: la fine per il cinema intelligente e l'inizio di un nuovo genere conclamato dal blockbuster, il cinema da cassetta un po' cervellotico davanti al quale tutti si piegano e che nasconde invece grasse lacune narrative, approssimazioni, trovate buttate solo per accaparrarsi due Oscar: non mi riferisco alle formule fisico-matematiche che in Interstellar vengono scritte su lavagne e carte, né ai codici binari che nascondono soluzioni a quesiti di cui non siamo stati fatti partecipi – mi riferisco ai livelli onirici di Inception che senza motivazione alcuna lanciavano i personaggi in inseguimenti, scalate sulla neve, sparatorie (anche lì c'era l'attrice di quell'anno, Ellen Page), e visto quello visto questo: ne è una citazione l'orizzonte ribaltato alla fine, come il personaggio di Matt Damon fatto su quello di Marion Cotillard del Cavaliere Oscuro. Adesso: piantiamola con le venerazioni a priori, con le recensioni lodevoli subito, i voti altissimi: questa volta il gioco narrativo a strati neanche c'è, com'è vero anche che non c'è un trionfo di battaglie inutili e montaggi sonori. Nolan addirittura si carica la telecamera in spalla per costruire l'incipit, costruito benissimo, dove l'abilità da scrittore emerge subito: non capiamo se non da accenni che ci troviamo in un futuro prossimo, che la Terra si sta consumando, la gente muore di fame, l'unica risorsa alimentare è il mais e ironicamente al contrario degli sforzi attuali il mestiere più gettonato sarà quello dell'agricoltore. Sempre ironicamente, si cita l'Apollo 13 e la sua mancata esistenza, trovata geniale per mandare in bancarotta i sovietici. McConaughey è un ex pilota che sogna spesso l'incidente che gli causò la perdita del lavoro. Fu un errore di macchina: ed ecco 2001: Osiddea Nello Spazio, la pellicola-fondamenta di questa, il Vangelo da cui attingere e copiare movimenti di macchina, silenzi nell'etere, musiche classiche. Di 2001 vedremo anche il monolite, umanizzato a robot, che incontra Hal e la sua voce ma non la sua volontà di gerarchia. Tutto questo, e il premio Oscar Anne Hathaway, nella spedizione interstellare che vedrà i nostri eroi alla ricerca di un nuovo pianeta da abitare, per lasciare la morente terra, con un piano A che prevede il ritorno in patria e un piano B che conta sugli embrioni congelati. Tutto è pensato minuziosamente, se non fosse che McConaughey ha il pallino di dover rivedere i propri figli, già orfani di madre, che crescono più velocemente di quanto lui non faccia: è grazie alla bambina che ha scovato la missione NASA, bambina ossessionata dal fantasma che le comunica informazioni criptate attraverso la caduta di libri o lo spargimento di sabbia. Eccola la cagata: la conclusione carina in partenza ma sviluppata male, giustificata male, la trovata pressappochista con cui spiegare e concludere il tutto: e prima di concludere il finale che in pressappochismo e approssimazione esplode, lasciandoci senza spiegazioni narrative ma, in compenso, come dicono alcuni, carichi di emozioni: ma un film non si fa solo con la musica di Hans Zimmer e il citazionismo di Rabelais e Sant'Agostino per cui certo, un prodotto notevole in tutti i suoi aspetti tecnici, nel suo staccarsi da Kubrick che elogiava la macchina-navicella facendola danzare nello spazio (mentre Nolan a malapena ci fa vedere le ali), un montaggio parallelo che alleggerisce le tre ore di storia – ma sono tre ore!, e in tre ore lo spettatore merita di veder sciolti tutti i nodi, e Gravity, nella sua pur imperfezione, ci ha dimostrato un anno fa che nella metà del tempo si possono toccare vette altissime ancora non superate.

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