venerdì 28 novembre 2014

32TFF: il reame



Stella Cadente
id., 2014, Spagna, 105 minuti
Regia: Lluis Miñarro
Sceneggiatura originale: Sergi Belbel & Lluis Miñarro
Cast: Àlex Brendemühl, Lola Dueñas, Lorenzo Balducci, Bárbara Lennie, Francesc Garrido, Àlex Batllori, Gonzalo Cunill, Francesc Orella
Voto: 4/ 10
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1870, novembre: con il doppio dei voti ottenuti dalla Democrazia, Amedeo d'Aosta fratello di ciò che sarà Umberto I e iniziatore della dinastia dei Savoia diventa Re di Spagna (ma si trova a Torino). 1871, gennaio: Amedeo arriva in Spagna pieno di ideali progressisti e innovativi e subito gli consigliano di ritirarsi – il suo predecessore è stato assassinato, nell'aria si espande il rumore delle bombe. La Spagna non è pronta a questo stacco generazionale, a quest'apertura di mente: lavora ancora su intrighi e corruzione dentro al castello. Rifiutandosi di abdicare, allora, Amedeo passerà la maggior parte dei suoi giorni rinchiuso nelle stanze, ad aspettare fremente l'arrivo della moglie María Victoria, ad intravedere le nudità della cuiñera Lola Dueñas tanto cara al maestro Almodóvar, a farsi servire e riverire dal suo fedele assistente e dal giovanissimo cameriere di corte – e qui iniziano le bizzarrie: quest'ultimo, si diverte a sottrarre al sovrano indumenti e accessori che usa o lecca o indossa per travestismi danteschi; quell'altro, nel raccogliere la frutta e prepararla per il pasto (rigorosamente privo di carne), buca meloni e c'infila dentro il già turgido pisello per masturbarsi – e poi servire in tavola. Finiranno ovviamente in una tresca omosessuale che si conclude con l'origine du monde ribaltata al maschile in un primo piano anatomico di Lorenzo Balducci di cui si parlava molto prima che questo film arrivasse al festival. Di passaggio in Tre Metri Sopra Il Cielo e Il Cuore Altrove e poi nell'anche gay-friendly Ma L'amore... Sì!, Balducci non è mai riuscito, nonostante l'eredità familiare, a sfondare nel nostro Paese, ed espatria per trovare effettivo chiacchiericcio sul Web che si diverte a votargli il pene. Come attore c'è ben poco da giudicare: il suo personaggio, come quasi tutti, sfiora il mutismo. Le scene, forse a voler rappresentare il peso dei giorni sempre uguali e tutti di fila, in questa clausura a quattro tra le stoffe e i banchetti, sono costruiti come quadri pre-barocchi, dove le frutte trovano colori brillanti, innaturali, le composizioni sui tavoli spiccano in simmetrie e accostamenti. A sottolineare ciò sono le riprese fisse, di pochi secondi, su pochi dettagli, e la telecamera sempre ferma a inquadrare i dialoghi a due, o i silenzi di coppia. Spezzerà l'incanto l'arrivo di Bárbara Lennie, una regina poco credibile che presto tornerà da dov'è venuta ricacciando il marito nello sconforto politico tra solitudine e alienazione. Àlex Brendemühl, il re, ogni tanto si perde in dialoghi o meglio monologhi che sfiorano la Filosofia e la Storia, la Politica e l'Estetica – ma non ci crede nessuno, dato che la scena successiva sarà di due natiche al bagno e la precedente una macchia di sperma sui pantaloni. Lluis Miñarro, costruendo una lingua a metà tra il castigliano e il catalano antichi, non si prende sul serio né cerca di fare un film dal serio contorno storico, dalla credibile costruzione realistica. L'attenzione a scene costumi trucchi si concede delle immagini claustrofobiche che passano in secondo piano rispetto all'assurdità del resto; se l'obiettivo era sconvolgere o infastidire, però, non c'è riuscito: il film manca di eccesso: in un senso o nell'altro. Non è davvero ironico né è grottesco fino in fondo. Resta in quel limbo pericolosissimo che lo rende artisticamente insufficiente, la solita storia contro cui si scagliano tutti. Non serviranno gli istrionici titoli di coda a far cambiare idea. Qualcuno uscendo dalla sala ha anche esagerato: «se la giornata non era un granché, questo me l'ha rovinata».

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