giovedì 18 ottobre 2012

pollo per cena.



Killer Joe
id., 2011, USA, 102 minuti
Regia: William Friedkin
Sceneggiatura non originale: Tracy Letts
Basata sullo spettacolo Killer Joe di Tracy Letts
Cast: Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Juno Temple,
Thomas Haden Church, Gina Gershon
Voto: 9.3/ 10
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Festival di Venezia numero 68, settembre 2011. Questo blog era ancora nel mio grembo mentre in concorso passava il nuovo film del regista de L'esorcista che, dopo L'esorcista, mi sono chiesto, dove è finito? (risposta: ha diretto pellicole di pochissimo successo per il cinema e molti film per la TV e più recentemente due episodi di CSI) (adesso ha quasi ottant'anni), e il Tracy Letts così celebrato sulla locandina - addirittura da avere uno spazio proprio grande quanto quello di Matthew McConaughey, mi sono chiesto, chi diamine è? (risposta: attore televisivo sconosciuto, comparso in episodi di telefilm diversissimi, da Prison Break a Giudice Amy, sceneggiatore di Bug sempre diretto da Friedkin e co-protagonista di Guinevere). L'idea di andare a vedere un film con la parola “killer” nel titolo, scritto da uno sconosciuto osannato, diretto da William Friedkin (si chiama così il regista premio Oscar de L'esorcista), insomma, non è che proprio mi allietasse molto. E poi, come quando non hai voglia di uscire e ti diverti da matti, ecco la sorpresa: il film mi è piaciuto così tanto che ho atteso l'uscita italiana per rivederlo e recensirlo meglio (di come avessi fatto nel trafiletto scritto agli albori).
Inizio tipico: piove a dirotto, il cane abbaia, la casa-roulotte dove Emile Hirsch cerca di entrare pare sigillata dall'interno e vuota, il cane abbaia ancora, fuori è buio, qualcuno si alza e apre la porta ed è una donna coi peli del pube al vento, la seconda moglie di Thomas Haden Church (faccia vista e rivista, candidato all'Oscar per Sideways) che vive come vivono tutti là dentro e nella città: sboccata, vestita alla meglio, pochi soldi per campare e le meglio gioie dalla vita. Le camicie infilate nei jeans, le moto, le pizze al bancone, le sale da biliardo, siamo in un'America della peggio periferia simbolo dei western urbani, dove pare che il tempo si sia fermato agli anni '90 mentre siamo tutti nella stessa barca. Tra queste persone svezzate alla nascita che come il povero Emile fanno debiti su debiti e puntano sui cavalli e si fanno inseguire dagli strozzini, la candida Juno Temple, realisticamente quattordicenne, dice cose fuori luogo e “strane” e sembra spaventata e a suo agio da tutto e con tutti. Rotea per strada, si alza la notte ed esce in vestaglia, avevo predetto per lei una nomination all'Oscar che non è arrivata perché il film anche in America è uscito con immenso ritardo.
Insomma, alla famiglia Smith non manca niente per campare, eccetto a Chris che ha seimila dollari di debito. La soluzione sarebbe: ammazzare la madre ed ex moglie dei maschi, prendere i contanti dell'assicurazione sulla vita, spartirseli equamente (in tre o in quattro?) e chi s'è visto s'è visto. Anche la ragazzina, che tutto sente ma niente le viene detto, tratta l'omicidio della genitrice come si tratta la marca di detersivo da usare. E questo omicidio, a chi lo facciamo fare?, ho sentito parlare di tale poliziotto, si chiama Joe Cooper, prende venticinquemila dollari e la storia fila liscia e pulita.
Di questi venticinquemila, però, Joe vuole una caparra, che gli Smith non hanno. E allora scendono a compromessi: cena galante con la dolce Dottie/ Juno Temple.
Nei panni di Killer Joe, come dice giustamente il trailer italiano, Matthew McConaughey supera se stesso e interpreta un feticista schizzato psicologicamente disturbato e incredibilmente interessante (da analizzare) uomo dalla doppia vita e dal doppio atteggiamento verso gli altri, che non sa gestire la rabbia né sa capire quali sono i limiti tra il consono e l'eccessivo. Tutto è eccessivo: i dialoghi, la volgarità, la nudità (e quella di Joe, essendo anche precedente a Magic Mike, è una delizia), le spogliarelliste, le botte, e questo eccesso di splatter verbale e di costume erutta nella scena finale che resta impressa, stampata nella memoria come poche altre immagini nella storia del cinema.
Un capolavoro di genere, il film dell'anno (scorso, e di questo), che certo dà più soddisfazione se visto in inglese e che a Venezia, l'anno scorso, settembre 2011, giustamente i critici avevano messo in cima alla classifica - e che giustamente, come i film migliori, non ha vinto niente.

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