martedì 2 ottobre 2012
big house.
Reality
id., 2012, Italia, 115 minuti
Regia: Matteo Garrone
Soggetto: Massimo Gaudioso & Matteo Garrone
Sceneggiatura: Ugo Chiti, Maurizio Braucci,
Massimo Gaudioso, Matteo Garrone
Cast: Aniello Arena, Loredana Simioli, Nando Paone,
Nello Iorio, Nunzia Schiano, Rosaria D'Urso, Claudia Gerini
Voto: 8.8/ 10
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Un emozionato Matteo Garrone sale sul palco della cerimonia di chiusura per Cannes 2012 e ringrazia educatamente la giuria per il Gran Premio ricevuto, e se ne va. La giuria, poco dopo, nella conferenza stampa finale, viene sommersa dalle critiche. Tra tutte, spicca: «Reality, unico film italiano in gara, ha vinto il secondo premio più importante perché il presidente di commissione è Nanni Moretti». Nanni Moretti risponde: «Reality non è piaciuto solo a me; abbiamo visto l'eco delle commedie all'italiana ormai defunte».
Reality non può piacere ai francesi, né agli stranieri in generale, non lo capiscono. Non capiscono le piazze del mercato coi pescivendoli che pesano le cozze e arrotondano il prezzo e poi vanno a prendere il caffè nel bar di fianco dove conoscono tutti; non capiscono le truffe ben pensate nel comprare elettrodomestici per posta con lo sconto e rivenderli poi a prezzo intero in negozio; non capiscono perché le Maria diventano Mary; non fanno caso al carrello della spesa, al centro commerciale, che nonostante sia trascinato da una famiglia molto larga e per niente ricca è strabordante di ogni cosa, sommerso, perché le famiglie da noi funziona che meno hanno e più spendono. Non capiscono il napoletano, e non capiscono come può essere che a Napoli ci sia la malavita di Gomorra e allo stesso tempo della gente che pensa ad altro, alla fama e alla gloria e al successo piovuto dal cielo, che non viene intaccato da questo tipo di problemi. Non capiscono come un regista possa esser riuscito a cambiare registro così in fretta.
Il problema di Reality è che non può essere capito neanche da due fette di italiani: quelli che sono esattamente ciò di cui il film parla, famiglie larghe e allargate che non arrivano a fine mese ma spendono e spandono e organizzano matrimoni in ville rococò con ingressi cavallereschi, fontane in piscina, partecipazioni di starlette, centinaia di ospiti vestiti a lustrini e paillettes; e poi non può essere capito da chi sta ai poli opposti, i critici cinematografici diventati tali per pochi studi e molti stipendi, gli arrivisti, gli arrivati, quelli che nelle ville rococò ci sono cresciuti e/o in età adulta se le sono comprate.
Reality, che si chiama così perché parla allo stesso tempo di un reality ma anche della realtà pura e propria, può essere capito solo dagli italiani che stanno esattamente in mezzo a queste due realtà; quegli studenti che dal paese sono andati alla metropoli, hanno abbandonato le porte aperte nei vicoli bianchi dal profumo di pomodoro e hanno conosciuto i coetanei proiettati nell'Europa, nella carriera, nell'autorealizzazione, guardando in una e nell'altra città sfilate di adolescenti con camicia nei pantaloni, bicipiti stretti nelle maniche, cintura con fibbia più grossa della tasca e maniche della Polo arrotolate intorno al collo, tutti stretti in locali troppo cari dove magari si finiva allo stesso tavolo prenotato (+ spumante) di un paparazzo o un paparazzato.
E nel suo essere crudelmente reale (finale - ahimè - escluso), Reality è poi un atto d'amore al nostro cinema italiano che un tempo anche i francesi e gli stranieri tutti capivano: queste incursioni televisive asfissianti e la vita del dietro-le-quinte del triste e satirico Ginger E Fred di Fellini, l'ambizione ribaltata nei figli verso il padre di un successo meritato a tutti i costi di Bellissima di Visconti, la Napoli tutta croste e crepe delle case bianche così in contrasto coi colori nei vestiti e i coloriti dialoghi di mezza filmografia della Loren e di De Sica, e ancora Fellini, nella scena della Via Crucis, citato per la caotica processione de Le Notti Di Cabiria. E poi che fotografia! Che colonna sonora inquietantemente fiabesca (del candidato all'Oscar Alexandre Desplat)! Che immensa interpretazione del protagonista maschile (ed ex carcerato) Aniello Arena e di tutti i suoi co-protagonisti, scelte azzeccatissime, anacronisticamente mai visti e più bravi di molte facce note, come a voler sottolineare ciò che il film sottointende.
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