lunedì 13 aprile 2015

Bacco e Arianna.



National Gallery
id., 2014, Francia/ USA/ UK, 180 minuti
Regia: Frederick Wiseman
Sceneggiatura originale: Frederick Wiseman
Voto: 9.3/ 10
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Un documentario su un museo che in molti hanno già visitato e visitano ogni giorno – e si pensa a un tour guidato all'interno delle sale, la fila fuori, le fattezze dell'edificio, una voce fuori campo che ne spieghi l'origine, la collezione, i lavori. Invece: Frederick Wiseman, la vera e unica guida del nostro cinema, documentarista anche televisivo e ottantenne, che ci ha condotto al Théâtre de l'Opéra di Parigi seguendo quel corpo di ballo, quell'altro del Crazy Horse leggermente più in déshabillé, l'università di Berkeley, una palestra di boxe – Wiseman ci (di)mostra che un museo di questo genere, uno dei più grandi al mondo, è un corpo vivo, una macchina le cui parti collaborano lavorando contemporaneamente, un organismo pulsante da ogni componente, di cui lo spettatore in fila, prima, e nelle sale, poi, vede soltanto l'aspetto superficiale. E dallo spettatore partiamo, nominato nelle riunioni amministrative: «forse dovremmo pensare più al nostro pubblico» si suggeriscono, i dirigenti, citando le mostre in corso e quelle passate, le campagne pubblicitarie, l'immagine della Galleria; li vedremo poi discutere del partecipare o meno a un evento sportivo benefico visto da diciotto milioni di spettatori, dei tagli al budget che necessiteranno una diminuzione del personale – ai vertici, come si può immaginare, si parla d'altro, mentre ai piani bassi, chi viene dal di fuori, le guide, rivelano un trasporto commovente: di tanto in tanto compare una signora o un ragazzo o una giovane donna che gesticola a folte schiere di anziani, di bambini disattenti, che parla come se fosse la prima volta, riempito del desiderio di parlare, con alle spalle una tela che di volta in volta cambia: e ognuno apporta la sua nozione, cerca di spiegare: ecco perché parliamo di questo quadro, nel XXI secolo, ecco perché ho studiato Arte, ecco perché vengo qui ogni giorno e non mi annoio mai. E se la partecipazione attiva delle guide è tutta teorica nozione pronta a esplodere (in monologhi da manuale, migliori anche dei manuali scolastici: uno su tutti il motivo dato allo scheletro in anamorfosi degli Ambasciatori di Holbein), nei laboratori dove il silenzio vige assoluto scopriamo le figure più ovvie (i restauratori delle tavole) e quelle meno scontate (i restauratori delle cornici), scoprendo le diverse sfaccettature dei diversi mestieri, scoprendone gli esperti e i tirocinanti, come il gruppo che assiste agli infrarossi di un Rembrandt dal passato capovolto, oppure la totale assenza di disegno dietro i pigmenti di Caravaggio. Ma ancora: i laboratori di disegno dal vero, «senso di liberazione» dicono i presenti, «un luogo sicuro» dove la nudità (prima femminile, poi maschile) viene vista solo attraverso «il senso del bello»; le iniziative affinché anche i ciechi possano tastare le opere, sentendone la descrizione, guidati attraverso le mani, cogliendo gli alberi e i lampioni di un Pissarro notturno. Ma ancora: oltre alle sale, le opere esposte, le iniziative e gli uffici dei dirigenti, un museo è anche manutenzione: chi pulisce il pavimento, chi cambia le piante nei vasi. Brillante l'idea di documentare, oltre alla collezione permanente, il passaggio da una mostra temporanea all'altra: si comincia con l'ingombrante Leonardo, alla “scoperta” del suo Salvator Mundi, dove alla mostra si associa la sua comunicazione, le interviste, le file al freddo, gli introiti e poi lo stupore nel ricollocare la Vergine Delle Rocce in un luogo che non le appartiene più – e poi si smontano quei pannelli, si tolgono quelle pareti, si ridipingono i muri e si costruisce un nuovo percorso per Turner Inspired, nell'anno in cui Leonardo si affaccia a Milano e Turner è appena uscito dalle sale. Interessato a tutto, perfino ai soffitti, Wiseman è quindi completamente assente: non si sente, non si percepisce, non ostruisce le conversazioni tra gli ospiti, le letture degli esperti, non giudica né stravolge i punti di vista, non provoca, quasi non respira: e così noi siamo lui, presenti in questo lungo lasso di tempo (le tre ore della pellicola, ma i mesi e mesi di preparazione ad essa) uscendone illuminati e desiderosi di tornare, se ci siamo già stati, perché come coi quadri, dopo che li si è studiati, si cambia la percezione ottica di ciò che si vede.

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