sabato 11 aprile 2015

innovazione.



N-Capace
id., 2014, Italia, 80 minuti
Regia: Eleonora Danco
Sceneggiatura originale: Eleonora Danco
Voto: 7/ 10
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«Sai che siamo condannati a diventare come i nostri genitori?» domanda Eleonora Danco a uno dei “suoi” ragazzi di Terracina – ma gli chiede anche di non rispondere, perché tanto a dirci quel «sì» ci pensa il film intero. Attingendo un po' alla propria esperienza di performer e teatrante (attrice e autrice), un po' al Surrealismo (ma io direi più alla Metafisica, De Chirico in primis), molto ai Comizi D'amore pasoliniani, la Danco torna nei luoghi in cui è cresciuta a ricordare un mercato di Pontaccio che non c'è più – e che tenta di abbattere con un piccone – e quelle attese insostenibili fra il pasto e l'ora in cui ci si poteva tuffare in mare per fare il bagno. «Mamma, mamma, quanto manca alle undici?, quando arrivano le undici?», ma la madre non c'è: c'è un padre, che al solo ricordo della moglie si commuove – un padre che è la figura più restia alle risposte, che pretende il silenzio su certe questioni, che si rifiuta a differenza di tutti gli altri di interpretare un ruolo diverso, dire cose che non pensa, che non prova. Perché il film (documentario?) di questo è fatto: domande e risposte e qualche inframezzo compositivamente surreale. Agli ultra-settantenni e agli under-diciotto sono posti quesiti sulla vita e la morte, l'aldilà, i Santi e Dio, sul primo bacio, il primo rapporto sessuale completo, il lavoro che si fa, quello che si vorrebbe fare, l'istruzione, la lettura di un libro, l'emozione davanti a un quadro – e davanti alle loro risposte il pubblico in sala si sganascia come ci si può sganasciare solo della genuinità di certe spontaneità caricate del dialetto romano, mentre la regista, onnipresente anche quando non inquadrata, resta impassibile, non giudica – come una sua signora, seduta nel campo, che non si permette di giudicare se stessa né gli altri davanti alla porta del paradiso e dell'inferno. E così si scopre che nonostante i mezzi secoli abbondanti tra un ragazzo che ha lasciato la scuola e fa il pizzettaro o una ragazza che ha studiato «da parrucchiera» (ma le facevano fare anche Italiano, Storia eccetera) e una vecchina che a sei anni la mettevano a raccogliere le olive come mestiere, «ma per noi era un gioco», non c'è tanta differenza; tra una vedova il cui marito alto due metri la costringeva al sesso di pomeriggio altrimenti mazzate e qualche truzzello del paese che ti riempie di regali ma poi ti tratta di merda, non c'è nessuna differenza. E nel raccontare le proprie esperienze, i propri pareri, tutti gli “attori” sono a proprio agio davanti a una telecamera di cui sentiamo la presenza, nonostante costretti spesso a urlare frasi apparentemente ingiustificate, a vestire i panni di astronauti fra le verdure, antichi romani nella piazzetta, a sedersi su un letto per strada e guardare per terra, con le buste della spesa. Fra loro, la regista vaga, carica del peso del tempo, fulcro cardine del film («arrivo a ottant'anni poi spero di tagliare i fili»), caricata del senso di fallimento, di smarrimento, di perdita della propria conoscenza; si chiama Anima In Pena e si scontra ripetutamente con un padre che chiuderebbe anche in un ospizio, che per anni tutte le domeniche ha rassettato le tombe dei parenti come se fossero i mestieri da fare in casa. «La capacità del film è quella di seguirmi fino in fondo, non farmi corrompere: provo orrore a parlare di attualità perché ti frega sempre, si sbriciola in un attimo; l'intensità del contemporaneo è diversa dall'attualità, è uno sbilanciamento umano» dice al 32esimo Torino Film Festival del novembre scorso, dove era in concorso e ha ricevuto una menzione speciale; «noi tutti siamo due elementi: capaci e incapaci, da qui il titolo». L'altra capacità di questo film è riuscire a creare un microcosmo universale nonostante non esca dal proprio recinto geografico, la provincia romana, nonostante indaghi solo un campione di persone accomunate, come possono essere gli adolescenti che hanno rinunciato, tutti, all'istruzione, preferendo le fiction in TV, gli spuntini di mezzanotte e il lavoro da manuale sotto il muratore: ma è un microcosmo in cui si torna, da adulti, cambiati, e ci si accorge che non è cambiato niente.

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