sabato 4 aprile 2015
pensaci, Giacomino!
La Scelta
id., 2015, Italia, 86 minuti
Regia: Michele Placido
Sceneggiatura non originale: Giulia Calenda & Michele Placido
Ispirata al dramma L'innesto di Luigi Pirandello (Mondadori)
Cast: Raoul Bova, Ambra Angiolini, Michele Placido,
Valeria Solarino, Manrico Gammarota, Monica Contini,
Gennaro Diana, Marcello Catalano, Mejdi El Euchi
Voto: 5.5/ 10
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In principio fu L'innesto pirandelliano, dramma “minore” o forse “minimo” raccolto in fondo alle Maschere Nude che, messo in scena nel 1919, creò non poco clamore e scandalo – a partire dall'azzeccato, provocatorio titolo. Michele Placido gli è fedele, finché può. Lo modernizza a livelli esaspera(n)ti, al punto da partire con le immagini telefoniche di una app sulla fertilità della donna della coppia; il cellulare è di Raoul Bova, che forse perdendosi il pezzo in mezzo alla produzione, recita come se stesse in teatro, appesantito dal fardello di dialoghi (attenzione: non sceneggiatura) poco credibili anzi ridicoli se detti male; la donna della coppia è Ambra Angiolini, ormai astro nato dopo l'eredità di Saturno Contro, alla sua più intensa prova di attrice: si cala, si tuffa, si immerge in questo personaggio psicologicamente poco chiaro e pochissimo chiarificato, moglie straziata dal desiderio di diventare madre, insegnante di coro, figlia di un musicista classico defunto, ha solo un ristretto circolo di affetti femminili (mamma, sorella, nipoti) davanti alle quali si sente «come i canarini: il maschio canta e la femmina fa figli». Il territorio iniziale è seminato di riferimenti al concepire, al partorire, all'allevare – come se non conoscessimo già prima di entrare in sala mezza trama del film; il territorio è quello pugliese, ancora una volta, una Bisceglie talmente piccola che i due coniugi si incontrano ad ogni angolo girato, ad ogni porta di negozio. La modernità apportata al testo di Pirandello perciò è relativa: resta quell'ambiente antico, quella mentalità arcaica, una natività classica di scuola napoletana, un repertorio musicale ancestrale, per giustificare un'aggressione e una violenza, dietro un vicoletto di pietra bianca, gestito quasi senza civiltà, tra le parti, senza denuncia, senza prime pagine, telegiornali e clamori. La scena dello stupro è pazientemente preparata, inquadrando l'attrice di spalle nel giorno del suo compleanno, ma poi non è mostrata: gli viene preferita l'analisi del fetido luogo e, poi, un lungo dettaglio del viso stravolto solo in parte, pietrificato. Ne segue una reazione di difficilissima comprensione, per noi che guardiamo come per i personaggi che vivono lo schermo: una gita nella tenuta di campagna, il divieto di tornare sull'argomento e, lentamente, un montaggio frammentario, sovrapposto, sovrastato da frasi dette, bisbigliate, spesso fuori campo e con poca coerenza logica, da lei, per rendere lo sgretolamento della coppia. Lui pretende delle analisi, pretende di sapere se la gravidanza appena annunciata è merito suo; lei si sforza di sottolineare che il figlio apparterrebbe, a prescindere, a entrambi: frutto dell'amore di quei giorni, non della violenza di quei minuti. Dilemma coraggioso, coraggioso da affrontare e a cui trovare risposta, universale e immortale, che valeva nel '19 come adesso, davanti al quale si dipanano soltanto l'orgoglio maschile, l'etica, la morale. Per quest'operazione sentimentale, allora, Placido torna ai toni di Un Viaggio Chiamato Amore abbandonando gangster, truffatori, mafie, rapine, fughe in moto, fucili nel bagagliaio: e gli viene benissimo!, trasforma la sua regia in un'esplorazione intima di corpi, di spazi, di silenzi – il mestiere musicale di lei non è che un pretesto per dare al commento sonoro (di Luca D'Alberto quando originale) un ruolo prominente, fondamentale, si potrebbe dire che c'è più musica che parlato. Il problema sta però nell'ora e mezza annacquata che ne risulta, tirata per i capelli, in cui l'approfondimento mentale sarebbe potuto scendere a livelli beceri e invece viaggia sempre in superficie, puntellato di piccoli accenni come la “famiglia allargata” di Valeria Solarino, dipendente della Natuzzi, con due figlie e due compagni, oppure il rapporto con Marcello Catalano, collega al conservatorio, candidato sentimentale. Nelle minimaliste ricostruzioni sceniche, cui si alternano immagini di campagne e porti evitabili, Placido attore si ritaglia una particina poliziesca – come se non riuscisse a fare a meno del genere – interpretando un padre dalla difficile intromissione nella vita del figlio, perennemente alle cuffie, a tratti commovente e che racchiude l'altra faccia del film – il quale figlio, guardacaso, si chiama Giacomino: vedi titolo.
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