venerdì 10 aprile 2015

la steppa.



L'ultimo Lupo
Wolf Totem, 2015, Cina/ Francia, 121 minuti
Regia: Jean-Jacques Annaud
Sceneggiatura non originale: Jean-Jacques Annaud,
John Collee, Alain Godard e Lu Wei
Basata sul romanzo Il Totem Del Lupo di Jiang Rong (Mondadori)
Cast: Shaofeng Feng, Shawn Dou, Ankhnyam Ragchaa,
Yin Zhusheng, Basen Zhabu, Baoyingexige
Voto: 6.6/ 10
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Negli anni Sessanta della Rivoluzione Culturale cinese l'amministrazione di Mao spedisce giovani studenti verso le praterie “meno civilizzate”, affinché educhino i pastori insegnando loro a scrivere e leggere cinese – ammorbidendo il loro scetticismo ad assoggettarsi ai principi del nuovo governo – traendo in cambio l'istruzione al lavoro mentre l'esercito sovietico si fa sentire. Lo studioso Chen Zhen, così, lascia Pechino per trasferirsi in Mongolia, con un bastimento carico carico di libri, dove troverà «gente che mangia carne mentre lui mangia riso», una gerarchia che soggiace al Naturale e all'Esoterico alla quale lui per primo dovrà soggiacere, prendendo come figura cardine un capofamiglia che chiamerà padre. Abbandonando le letture, s'immergerà in paesaggi spettacolari dentro ai quali scoprirà, tra le altre cose, su tutte, l'equilibrio che regola il mondo, in cima al quale (equilibrio, ma anche mondo) i mongoli mettono il lupo: creatura venerata perché inarrivabile, temuta e rispettata, oggetto di lunghe osservazioni al binocolo e discorsi a tavola. Ma: accusati di “frenare” l'avanzata del progresso cinese, i lupi subiscono un genocidio a partire dai loro cuccioli, lanciati in aria (e lasciati cadere) in nome del dio Tengri, mentre gli adulti vengono portati brutalmente dentro agli zoo. In questo intervento dello straniero ignorante, i mongoli si inseriscono con fermezza per ristabilire il naturale ordine della steppa: meno lupi vuol dire più gazzelle, animali crudeli perché mangiano l'erba, che è vita; meno lupi vuol dire più scoiattoli e marmotte, che sono il male dell'agricoltura; meno gazzelle vuol dire più fame per i lupi, che si lanceranno contro le pecore sostentamento dei villaggi. I mongoli si inseriscono silenziosamente nella catena alimentare cercando di aiutare le altre creature traendone giovamento – ma solo dopo aver studiato a fondo e appieno gli animali loro vicini, per non stravolgere l'abitudine di nessuno; il regista in primis è affascinato dall'intelligenza del lupo, e lo osserva lui più da vicino del suo protagonista nascosto dietro le fronde – e quando il suo protagonista è costretto a smettere l'osservazione per troppa lontananza o pericolo, lui beffardo prosegue inosservato spingendosi sempre oltre, concedendosi panoramiche e primi piani documentaristici. Ecco: sempre a metà fra film di finzione e documentario, la pellicola si sforza, attraverso immagini mozzafiato (merito delle incontaminate nature mongole) e una musica epica, a toccare i picchi del blockbuster immersivo, a partire da una trama che potrebbe apparire come favola ecologista, semplicista, dagli ovvi valori morali, ma che può essere letta coraggiosamente come un abbandono delle pagine scritte per partecipare attivamente alla vita: gli insegnanti giunti a insegnare ne escono insegnati, scoprendo ciò che spaventa per evitare di temerlo. Il giudizio morale sull'equilibrio terreno piante-animali-uomini è lasciato allo spettatore, a partire dagli interventi dei personaggi, Chen Zhen soprattutto, che strapperà al suo habitat un cucciolo di lupo decidendo di allevarlo «come esperimento», per conoscerlo meglio, togliendogli l'odore del branco, l'apprendimento alla caccia, il riconoscimento nell'ululato, disubbidendo alle regole nomade che sono rimaste le sole a preservare un rapporto sano con il territorio; «il film scivola così nel sentimentalismo e la storia di Chen Zhen e del cucciolo di lupo ha il sapore dell'apologo del Piccolo Principe e della volpe addomesticata», scrive Silvia Angrisani su Vivilcinema. Dopo Il Nome Della Rosa e Sette Anni In Tibet, come si legge sulle locandine, Jean Jacques-Annaud trasporta in immagini uno dei più letti e amati libri della Cina, Il Totem Del Lupo, edito da noi da Mondadori, mescolando produzioni cinese e francese e ricavandone una bella censura asiatica – in compenso è il film più illegalmente visto in quel Paese; bisognerebbe citare, a onor del vero, L'orso e Due Fratelli, nella carriera del regista, che pure partivano dall'analisi di animali, e che non immergevano così a fondo la figura dell'uomo. Stando sopra con la telecamera, ma anche dentro, si ricava una goduria soprattutto degli occhi, soprattutto per chi ha amato una delle prime scene, nevose, de La Bella E La Bestia, dove il lupo veniva dipinto unilateralmente, a differenza di quest'altro esempio.

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