giovedì 5 dicembre 2013
31TFF: All Is Lost.
All Is Lost - Tutto è Perduto
All Is Lost, 2013, USA, 106 minuti
Regia: J.C. Chandor
Sceneggiatura originale: J.C. Chandor
Cast: Robert Redford
Voto: 7.9/ 10
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Tutto è perduto già dall'inizio. Qualcosa galleggia nell'acqua e Robert Redford («un film intero solo con Robert Redford? Ma non è super-vecchio?») ci dice fuori campo le uniche parole che ci dirà per tutto il film: c'ha provato, ad essere una persona buona, una persona migliore, ha provato a resistere, ma non ce l'ha fatta, e ciò che galleggia ne è la prova.
Tutto è perduto, per cui, anche nella seconda scena: il presagio triste e l'incipit ci hanno svelato un finale che pare imminente. Unico passeggero della sua barca, Redford – di cui non sapremo mai niente, né nome né provenienza né altre informazioni se non il pacchiano anello che ha al dito – si vedrà un carico caduto di scarpe probabilmente cinesi sfondargli il fianco dell'imbarcazione che lentamente e in modo abbastanza realistico riparerà con colla e rete d'uso, calandosi con l'imbracatura, svuotando la cuccetta dall'acqua entrata. La sua barca è la borsa di Mary Poppins: ha tutto per ogni evenienza, tira fuori sempre ogni accessorio, è pronto a ogni cosa, conosce qualsiasi trucco per farcela, marinaio navigato, ed effettivamente, fino all'ultimo istante, riesce a farcela. Gli succederà che una tempesta lo travolgerà in pieno, il gommone di salvataggio avrà un buco, gli s'allagherà tutto, addirittura s'incendierà qualcosa, e mai nessuna nave di passaggio si accorgerò della sua presenza, nonostante i bengala, i razzi, i fuochi segnalatori, né la radio capterà il segnale utile per chiedere aiuto. Insomma un bastimento di sfiga, al punto da risultare grottesco all'ultima sciagura tanto che una signora in sala è scoppiata a ridere gridando «non è possibile!». Poco prima dell'ambiguo finale, «ambiguissimo» hanno commentato in molti, il finale giusto per un'epopea tremenda, che ti lascia l'amaro in bocca perché non sai se va così in vita o in morte, se la scena iniziale si riferisce a qualcosa di precedentemente registrato o no.
Diventando poi anche esperto cartografo, munito di mappe e manuali e strumenti di misurazione per segnare precisamente la sua posizione nell'Oceano Indiano, Redford diventa clone – mentre in sala c'è un'altra storia di mare, In Solitario, e c'è appena stato il piratesco Captain Phillips – dell'indiano Pi del film di Ang Lee. Solo che quello, decisamente più spettacolare, viveva il mare solo in una parte del suo svolgimento e aveva più ospiti, e soprattutto si sviluppava in un arco di tempo più ampio senza mai farci perdere le speranze pur vedendo lo smagrimento del viso e la barba incolta. E anche quello aveva il doppio finale. Ma a J.C. Chandor, regista alla sua seconda prova passata da Cannes e adesso attesissima nelle nostre sale, abbiamo capito che piace fotografare l'istante, il momento, l'episodio strappato allo svolgimento. L'aveva già fatto con il premiatissimo e osannato Margin Call, racconto della notte del crollo finanziario con un cast gigantesco – in cui figurava anche Zachary Quinto che di questo film è produttore – rendendo il lato umano degli agenti di borsa, le disperazioni composte e trattenute; lo fa ancora, concedendoci un'unica scena in cui Redford effettivamente scoppia in lacrime, conscio di ciò che potrebbe accadere. Ma incentrare un film in un solo avvenimento, con un solo attore, senza nemmeno un dialogo (cosa che va molto di moda di questi tempi) non era impresa difficile: e questo film pur imperfetto (negli stacchi del montaggio, in qualche ripresa) ci riesce, senza mai annoiare.
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