mercoledì 4 dicembre 2013

31TFF: storia di un riparatore.



The Repairman

id., 2013, Italia, 89 minuti
Regia: Paolo Mitton
Sceneggiatura originale: Paolo Mitton & Francesco Scarrone
Cast: Daniele Savoca, Hannah Croft, Paolo Giangrasso,
Francesca Porrini, Fabio Marchisio, Irene Ivaldi
Voto: 8.1/ 10
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Commedia brillante – come si usa dire a teatro; opera prima (tenerissima la presenza in sala degli amici dell'attore protagonista) di un regista piemontese (Paolo Mitton) che ha scelto il manifesto sbagliato e il titolo sbagliato per un film che promette poco e regala allo spettatore tantissimo, e il pubblico di Torino ha apprezzato. Storia a incastri ben stesa, con un gioco di livelli narrativi multipli che stanno in piedi senza sbavature e anzi, con non pochi piccoli dettagli che rendono deliziosa la confezione. Si comincia con la telefonata di un decesso, mentre un uccello pure muore, colpito dalle scariche elettriche dei fili sopra alla strada; fili che saranno protagonisti della parte finale. Scanio (un azzeccatissimo Daniele Savoca tutto barba e focaccine), voce fuori campo e titolo del primo capitolo e nome del protagonista, chiamato universalmente A-scanio a cui lui strappa ogni volta la A, ha lasciato Ingegneria perché gli è morto il padre e adesso lavora come riparatore (da qui il titolo) di complessi marchingegni tipo la multi-macchina da caffè di una ditta. Ha una combriccola di amici, che tendenzialmente ridono della sua nullafacenza e della sua solitudine. Lui è un ingegnere, quindi un po' perennemente fuori luogo, impacciato con le donne. Nella prima metà, ci si sganascia dal ridere: una battuta dopo l'altra, ogni scena è comica (ma senza scadere mai nella gag nonsense e assolutamente mai volgare, come il nostro cinema crede invece debba essere una commedia). Poi la storia si fa seria, e il tono si abbassa un po': arriva una ragazza, una convivenza a sorpresa, il lavoro se ne va ma lo spirito gaio di affrontare la vita, più o meno, resta. Il tutto narrato attraverso scatole cinesi da cui si entra e si esce, sempre col sorriso, sebbene lentamente l'ilarità diminuisca con l'avvicinarsi della prevedibile rottura (sul lavoro, in amore, in casa). I problemi della vita, quando si sommano, demotivano e abbassano gli angoli della bocca. In questo esordio silenziosissimo tutto sorprende: la bravura e la naturalezza degli attori, sconosciutissimi fino ad oggi; la fotografia coerente e non amatoriale; la trama, realistica e attuale (che a Virzì è forse piaciuta per la vicinanza vicinissima con Tutti I Santi Giorni) sulla precarietà del lavoro, del denaro, degli affetti, sulla quale (precarietà) comunque si sorride senza sangue amaro. Ma soprattutto la sceneggiatura, quasi impeccabile, ben pensata e ben portata a termine.
Non si incastrano perfettamente la prima e l'ultima scena; ma è un difetto che lasciamo correre in quello che è stato unanimemente considerato il più interessante esordio dell'anno.

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