mercoledì 31 ottobre 2012

M.



Skyfall
id., 2012, UK/ USA, 143 minuti
Regia: Sam Mendes
Sceneggiatura originale: Neal Purvis, Robert Wade, John Logan
Basata sui personaggi di Ian Fleming
Cast: Daniel Craig, Judi Dench, Naomie Harris, Ralph Fiennes,
Javier Bardem, Bérénice Marlohe, Ben Whishaw, Albert Finney
Voto: 8/ 10
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Premessa: io e James Bond siamo come due compagni di classe che non hanno mai avuto occasione di presentarsi ufficialmente ma conoscono i rispettivi nomi, non si guardano mai in faccia se camminano per il corridoio così evitano il dilemma «saluto o non saluto», sono quasi certi di non trovarsi simpatici - ma in fondo non si conoscono. E per questo motivo, dei ventidue film su James Bond precedenti a questo, io non ne ho visto nessuno. Ahimè, leggevo delle critiche al primo “007 biondo” quando il ruolo che fu di Sean Connery/ Roger Moore/ Timothy Dalton/ Pierce Brosnan fu dato all'inglesissimo Daniel Craig; vedevo Caterina Murino ascendere e sparire dalla cinematografia internazionale; decrittavo il video di Madonna senza mai capirci niente. Adesso però James Bond compie cinquant'anni, mezzo secolo che la (“raffinatissima”, dicono alcuni) casa editrice Adelphi celebra pubblicando (in versione “elegante”, dicono altri) i pochi libri di Ian Fleming della saga di spionaggio (“Casino Royale” è il primo, che compie sessant'anni nel 2013; traduzione di Massimo Bocchiola, € 16) e che il cinema non si lascia scappare sparando nelle sale una nuova pellicola della serie per un pelo prima della fine dell'anno (ma programmata per l'anno scorso). Viene reclutato (acconsentitemi il verbo) per questa grande festa british, dietro alla macchina da presa, Sam “American Beauty” Mendes che dopo i recenti Revolutionary Road e American Life (titolo italiano di un più poetico Away We Go) si stava facendo dimenticare dal suo pubblico (e dall'ex moglie Kate Winslet) ma che adesso è sulla bocca di tutti. Per il regista, pure lui inglese, amante dei drammi familiari, è la prima volta davanti a un action movie così scoppiettante - la cosa più vicina a dell'azione che aveva girato era stato Jarhead, ma quel film, per definizione, parlava dei soldati che mai hanno sparato un colpo.
Esce da quest'esperienza a testa alta anche perché, per sua ammissione, ha voluto celebrare lui per primo l'immagine-icona dell'investigatore più famoso del mondo andandosi a riguardare tutti i vecchi film della serie e imitandone alcuni (questo, dopo anni, è il primo che riporta sullo schermo la passeggiata con colpo di pistola finale nell'occhio del mirino) e lo capiamo dal quasi-inizio, con dei titoli di testa che tolgono il fiato, puro lavoro digitale minuzioso dai bei colori e dalle belle trovate con sottofondo musicale promettente: la canzone originale “Skyfall”, slegata dal resto della colonna sonora di Thomas Newman sempre coerente a se stessa, è stata interpretata da Adele e da lei scritta insieme al genio della produzione Paul Epworth; parentesi su Adele: 24 anni, 8 Grammy, 3 Brit, 22 Billboard Awards, 3 American Music Awards, 2 album, 14° posto nella classifica dei dischi più venduti della storia della musica, ripeto, nella storia, nella sua interezza. Approda quindi al cinema con una canzone originale sperando di mettere sulle mensole anche un BAFTA magari, un Golden Globe, un Oscar.
Prima di questi titoli di testa di cui non avrei dovuto dirvi niente, però, c'è una lunghissima scena che già ci butta nel vivo della faccenda: un file da strappare dal collo di un cattivone che James e una delle due Bond Girls di cui ci dimenticheremo presto inseguono letteralmente sui tetti di Istanbul e sulle carrozze di un treno in corsa. Macchine sfasciate: 32. Morti: 1, quello sbagliato.
A vedere il lungo film, ormai, non si può non pensare alla saga di Batman. Stessa schiera di nativi digitali (fa la sua comparsa Ben Whishaw, il bravo Grenouille di Profumo, nel ruolo del nerd Q), stessi cambi di vetture che sparano dai fanali, stessi antagonisti pazzoidi che hanno sete di vendetta e stesso popolo che sta a guardare senza accorgersi di niente. Ma se Batman cerca sempre di salvare anche il più inutile abitante di Gotham City, James se ne sbatte altamente dei passeggeri della metro che deraglia e si schianta tra le colonne dei sotterranei di Londra, e continua a inseguire l'ispanico Silva, un Javier Bardem che, qui ve lo annuncio, vincerà il suo secondo meritatissimo Oscar, che dà la migliore interpretazione del solito non-protagonista con addosso il solito caschetto improponibile.
Gran parte del voto è per il suo (geniale) monologo sui topi. Ma effettivamente non vi ho raccontato neanche un filo della trama. Poco importa; tanto sono tutte uguali.

Gotham Independent Film Awards - nominations.



I premi che l'anno scorso hanno fatto scoprire (più o meno) al mondo Beginners (che vinse come miglior film e poi avrebbe vinto l'Oscar per l'attore non protagonista Christopher Plummer) e hanno onorato la nostra amata Felicity Jones (per Like Crazy, perla d'amore che è uscita adesso da noi solo in dvd) ritornano come ogni anno, si chiamano Gotham Independent Film Awards, e come ogni anno ci ricordano quali sono le migliore pellicole indipendenti di tutto il globo, e ce ne fanno scoprire delle altre.
Se già conoscevamo bene, infatti, The Master di Paul Thomas Anderson sulla nascita e gli uomini dietro Scientology (tanto criticato da Tom Cruise che con Anderson aveva girato Magnolia) e soprattutto Moonrise Kingom (in arrivo nelle nostre sale e già recensito) che insieme al precedente si prepara alla scalata verso gli Oscar, quasi ci sono sconosciuti The Loneliest Planet di Julia Lokotev (regista e sceneggiatrice di solo un altro film, Day Night Day Night, passato a Cannes e pure dai Gotham nel 2007) e Middle Of Nowhere di Ava DuVernay (pubblicista e consulente di, tra gli altri, The Help, Shrek, Dreamgirls). Nel primo film, Gael García Bernal e Hani Furstenberg sono una coppia in gita sui monti del Caucaso che si sobbarca quasi interamente tutte le scene; nel secondo, premio alla regia al Sundance, una donna indaga su suo marito dopo che viene condannato a otto anni di reclusione. Completa la cinquina dei candidati al miglior film Bernie, basato su un articolo uscito su un quotidiano del Texas, regia di Richard Linklater, il più navigato del gruppo: 23 film da regista tra cui la coppia Prima Dell'alba & Prima Del Tramonto (per cui fu nominato all'Oscar alla sceneggiatura) (ed è in arrivo Prima Di Mezzanotte), School Of Rock, Fast Food Nation e il più recente e sperimentale A Scanner Darkly.
Cinque candidati tutti diversi per la migliore regia, tra cui due vittoriosi reduci da Cannes: l'esordiente Antonio Méndez Esparza per il messicano Aquí Y Allá (Premio della Critica) e Behn Zeitlin (compositore, montatore, direttore di fotografia, sceneggiatore) per Beasts Of The Southern Wild (Un Certain Regard a Cannes e miglior fotografia al Sundance insieme al Gran Premio della Giuria).
Da quest'ultimo viene anche la nomination alla baby protagonista Quvenzhane Wallis come miglior attrice, ma per gli approfondimenti sulle altre candidature rimando al sito ufficiale.
Durante la serata, che si terrà lunedì 26 novembre, ci saranno quattro tributi a due attori, Marion Cotillard e Matt Damon, al regista David O. Russell e al produttore Jeff Skoll.

Miglior Film:
Bernie di Richard Linklater
The Loneliest Planet di Julia Loktev
The Master di Paul Thomas Anderson
Middle Of Nowhere di Ava DuVernay
Moonrise Kingdom di Wes Anderson

Miglior Regista:
Zal Batmanglij per Sound Of My Voice
Brian Cassidy & Melanie Shatzky per Francine
Jason Cortlund & Julia Halperine per Now, Forager
Antonio Méndez Esparza per Aquí Y Allá
Benh Zeitlin per Beasts Of The Southern Wild

Miglior Interpretazione:
Mike Birbiglia in Sleepwalk With Me
Emayatzy Corinealdi in Middle Of Nowhere
Thure Lindhart in Keep The Lights On
Melanie Lynskey in Hello, I Must Be Going
Quvenzhane Wallis in Beasts Of The Southern Wild

Miglior Interpretazione d'Insieme:
Jack Black, Shirley MacLaine, Matthew McConaughey per Bernie
Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Frances McDormand, Tilda Swinton, Jared Gilman, Kara Haykward, Jason Schwartzman per Moonrise Kingdom
Aubrey Plaza, Mark Duplass, Jake Johnson, Karan Soni, Jenica Bergere, Kristen Bell, Jeff Garlin, Mary Lynn Rajskub per Safety Not Guaranteed
Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Jackie Weaver, Chris Tucker, Anupam Kher per Silver Linings Playbook
Emily Blunt, Rosemarie Dewitt, Mark Duplass per Your Sister's Sister

Miglior Documentario:
Detropia di Heidi Ewing & Rachel Grady
Marina Abramovic: The Artist Is Present di Matthew Akers
Room 237 di Rodney Ascher
How To Survive A Plague di David France
The Waiting Room di Peter Nicks

sabato 27 ottobre 2012

tre film stranieri.



Escono quasi contemporaneamente, da noi nel Bel Paese, tre dei settanta film in lizza per la nomination all'Oscar per il miglior film straniero, tutt'e tre reduci da Festival in cui hanno convinto la critica e la giuria al punto da ricever grassi premi.
È già nelle sale (solo 41 in tutta Italia) Amour, capolavoro indiscusso di Michael Haneke, summa della maturità artistica del regista e dei suoi protagonisti Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, Palma d'Oro meritatissima all'ultimo festival di Cannes che, se esiste una giustizia a questo mondo, metterà i piedi in testa a tutto il cinema americano dell'ultimo anno.
Manca poco (esce mercoledì 31), invece, per un altro film vincitore a Cannes 2012, Oltre Le Colline del già Palma d'Oro Cristian Mungiu (per 4 Mesi, 3 Settimane, 2 Giorni) di cui abbiamo già commentato l'inquietante trailer italiano. Storia di devozione e incomunicabilità di due amiche che si ritrovano in maturità dopo aver passato l'infanzia nello stesso orfanotrofio, ha ricevuto in terra francese i premi alle due migliori attrici e alla sceneggiatura, apparentemente ripetitiva e conservatrice, ma che a lungo andare apre parecchi spiragli. Per una volta, poi, la locandina italiana batte quella originale in bellezza.
Il mese prossimo invece, ma il trailer italiano è già visibile nei cinema e su YouTube, uscirà il primo film non italiano reduce da Venezia 69, Coppa Volpi (regalata) all'interpretazione di Hadas Yaron: La Sposa Promessa - titolo inglese: “Fill The Void” - che racconta di una famiglia israeliana alle prese con una morte precoce che lascia vedovo un uomo e orfano un bambino appena nato, vuoto da colmare, appunto, con un repentino altro matrimonio, per il quale si deve scegliere la fortunata.
I film sono, rispettivamente, le proposte austriaca, rumena e israeliana per i prossimi Academy Awards.
Ecco i link alle recensioni complete:

Amour
di Michael Haneke (Austria)
voto: 9.7/ 10

Oltre Le Colline
di Cristian Mungiu (Romania)
voto: 8/ 10

La Sposa Promessa
di Rama Burshtein (Israele)
voto: 6.6/ 10

giovedì 25 ottobre 2012

noi due al chiuso.



Io E Te
id., 2012, Italia, 100 minuti
Regia: Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura non originale: Niccolò Ammaniti, Bernardo Bertolucci,
Umberto Contarello, Francesca Marciano
Basata sul romanzo Io E Te di Niccolò Ammaniti (Einaudi)
Cast: Jacopo Olmo Antinori, Tea Falco, Sonia Bergamasco,
Pippo Delbono, Veronica Lazar
Voto: 7.2/ 10
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«Mentre leggevo Io E Te mi tornava in mente un mio film, La Luna, per la tossicodipendenza, per l'incesto; sono andato da Niccolò e gli ho chiesto se avesse preso spunto dalla pellicola e in effetti mi ha risposto di sì». E Bernardo Bertolucci, che parla ad Alessandro Piperno durante l'intervista per La Lettura del Corriere, siccome si vuole rinnovare e reinventare, dopo quasi dieci anni di assenza dalle sale, fa un film basato su un libro ispirato largamente ad un suo film. E da una porcata di film (La Luna, storia d'amore e odio tra una madre e un figlio adolescente eroinomane) non poteva che nascere una porcata di libro (Io E Te, di Niccolò Ammaniti, dieci euro per sessanta pagine appena scritte in corpo dodici: una truffa) dal quale vien fuori un prodotto stranamente apprezzabile, «perché si vede la mano del maestro» diranno alcuni, invece no, perché di maestria a Bertolucci ne è rimasta ben poca (non che ne abbia mai avuta a vagonate). Io E Te, dal libro, taglia il finale patetico e surreale e tutte le altre cose surreali in modo da apparire, o almeno sforzarsi di apparire, un pelo più realista. Certo, è la storia di un quattordicenne, Lorenzo, che non ha amici né ha interesse ad averne e mentre tutti partono per la settimana bianca lui, che ha assicurato alla madre che ci andrà, se ne scende in cantina di nascosto e ci resta per sette giorni chiamando i genitori ogni tanto e raccontando loro com'è la neve. Trama che di realistico ha molto poco. Soprattutto se poi ci aggiungiamo che la cantina conta due divani, un po' di armadi, un letto, un corridoio, un bagno con la doccia, un frigo-bar, prese per ciabatte elettriche, lampade, lumi. In tutto questo spazio, certo, Lorenzo non poteva starci da solo: uno dei primi giorni di “settimana bianca” la sorellastra Olivia compare in tutta la sua irruenza e si mette a cercare uno scatolone con la sua roba, facendo intendere che un tempo la famiglia era più unita e che se si è staccata è anche colpa sua e della sua mano lunga. Non avendo altri posti dove stare e avendo scoperto che Lorenzo, in cantina, non era sceso per una capatina, resterà anche lei a rincollare un rapporto mai stato intero. Serendipità: uno cerca di far contenta la madre che lo vorrebbe più socievole, l'altra cerca di dormire su qualcosa di morbido, entrambi troveranno una spalla su cui contare, non si capisce poi bene in quale futuro e in che modo.
La claustrofobia, che al libro non apparteneva e al film sarebbe dovuta appartenere, viene spezzata continuamente con l'inquadratura, dal di fuori, della grata della finestrella che collega lo scantinato alla strada, come nei peggio film americani che inquadrano continuamente la metropoli dall'alto per staccare dalla notte al giorno. La claustrofobia, poi, non c'è perché 'sto posto è una reggia: i due trovano vestiti, tappeti zebrati, bauli, pellicce, roba che dà un tocco incredibilmente kitch alle scene - e che ci piace.
Jacopo Olmo Antinori, una costellazione di brufoli e punti neri da unire per ottenere un disegno, ha la faccia azzeccatissima e la voce perfetta, ed è un peccato che di lui si sappia così poco, e quello che si sa sia così scontato. Tea Falco, cadenza siciliana e protuberanza in faccia che dalla locandina non si vede grazie a Photoshop, recita meno potentemente ma poveretta non è tutta colpa sua: la sceneggiatura mette in bocca a entrambi cose che ora sono vere ora poco meno, ed è in un paio di «seh, vabbè» detti da Lorenzo che si sente quando c'è dell'improvvisazione. Per scrivere i dialoghi, Bertolucci ha chiamato a sé il prima citato Niccolò Ammaniti (del quale viene reso in film tutto ciò che scrive, anche gli autografi sui libri: L'ultimo Capodanno, Branchie, Io Non Ho Paura, Come Dio Comanda) insieme a due veterani del cinema italiano, Umberto Contarello e Francesca Marciano. Chiama, poi, un piccolo cast che si muove in pochi spazi - perché, segregato com'è alla sedia a rotelle, non si può permettere di girare molti esterni, addirittura pensava lui per primo di dover abbandonare il cinema. La sua condizione di handicap si intravede soprattutto in una cosa: far andare la telecamera sempre in alto, inquadrare il cielo, un luogo che ormai non gli appartiene più.
Poi Olivia si alza, prende Lorenzo, canta “Ragazzo Solo, Ragazza Sola” mentre ballano (ciao, The Dreamers), ed è questo il cinema di Bertolucci che ci manca.
Gioco a premi: di quale film è stato co-protagonista il venditore di animali e come si chiama?

il film dei Paesi Bassi.



Kauwboy
id., 2012, Paesi Bassi, 75 minuti
Regia: Boudewijn Koole
Sceneggiatura originale: Jolein Laarman & Boudewijn Koole
Cast: Rick Lens, Loek Peters, Susan Radder
Voto: 7.7/ 10
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Clicca qui per vedere il film.
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Jojo [pronuncia: yò•yo] è un ragazzino di pochi anni che non vediamo mai andare a scuola ma vediamo in cucina a preparare la colazione, in lavanderia a caricare la lavatrice, davanti al frigo a prendere la birra al padre. Quando il genitore alla mattina saluta ed esce da casa, Jojo si mette a correre e raggiunge la vetta di un ponte sulla strada dal quale grida «sono arrivato prima io!» o cose del genere, di giorno in giorno. Una mattina, mentre dal ponte torna a casa con ancora addosso i guanti da forno, si imbatte in un albero sul quale una taccola ha fatto nido, dimenticandosi di portar su il piccolo, quasi appena nato, incapace di volare. Jojo vede l'uccellino nero, se lo infagotta nella maglietta risvoltata, s'arrampica per i rami ma puff, il taccolino cade, e pensiamo tutti che sia morto, infante com'è, invece è vivo, e Jojo se lo porta a casa.
Mentre lo racconterà al nuovo animale domestico, ascolteremo anche noi perché vive da solo col padre, perché la madre è in America e spesso telefona ma non torna mai, perché si occupa così tanto della dimora - senza, in realtà, saperlo fare - e perché dice di esser contento anche se il padre è tremendamente padrone. Tutte queste cose le racconterà poi a una compagna della squadra di pallanuoto che spunterà il giorno in cui la rabbia repressa di Jojo si manifesterà in un morso al polpaccio.
Vincitore solo a Berlino del premio all'esordio Generation Kplus e del Gran Premio Kinderhilfswerk, vincitore del Premio del Pubblico Giovane dei prossimi European Film Awards e del Miglior Film Internazionale al Festival di Buenos Aires, Kauwboy (termine che non vuol dir letteralmente nulla) è la storia di una taccola e del bambino che le insegnò a volare perché privato di qualsiasi altro affetto nel mondo. La difficile situazione col padre, mascherata di rosa davanti agli occhi di lui e nei suoi racconti, trova solo tenerezza e nessuna vendetta nella cura con cui Jojo insegna al volatile a prendersi paura dei cani e delle automobili (dolcissimo momento di cinema, il migliore del film). Ci ricordiamo, vagamente, di Tomboy e dei bambini di The Tree Of Life, attori magistralmente scelti e inquadrati mentre scorrazzano per i prati e vivono la loro infanzia; qui c'era lo stesso rischio: un bambino non all'altezza avrebbe rovinato tutto. E invece questo Rick Lens (giunto alla Berlinale col suo orsacchiotto) ci convince e si convince lui stesso, sobbarcandosi tutto il dramma. Accanto, gli vengono messi il solito grasso e pelato burbero genitore (il celebre-in-patria Loek Peters) e un'amica silenziosa ma complice che compare a metà e rimane fino alla fine - una piccola e olandese Kristen Stewart che si chiama in realtà Susan Radder. (In un ruolo minore, con una scena appena, c'è anche Ricky Koole, la protagonista del film che i Paesi Bassi mandarono l'anno scorso, Sonny Boy, ve lo ricordate?). Anche queste (il rapporto padre/figlio, l'amica silenziosa, l'animale domestico, la competizione agonistica, l'accettazione dei compagni) sono immagini e scelte banalotte e già trite, come anche i rallentatori delle corse e delle nuotate e dei salti sul tappeto elastico. Boudewijn Koole, regista esordiente, ne viene fuori (e viene fuori dalla trama per documentare solo le sensazioni) con una telecamera a spalla e una fotografia verdognola che dànno al film l'idea che niente mai, prima, abbia avuto quel colore, in nessuna stagione.
Dato il successo internazionale, i Paesi Bassi prendono e mandano in America, per gli Oscar 2013. E gli americani che fanno?, cambiano il titolo in Little Bird.

i film stranieri/ 3.



Terza e ultima parte.
Si comincia con la Russia che l'anno scorso non mandò in America il Faust di Sokurov preferendogli il sequel di Burnt By The Sun (fischiato in sala e ignorato da tutto il mondo) solo perché la prima metà aveva vinto la statuetta, e la Russia quest'anno manda lo sconosciuto White Tiger dello sconosciuto Karen Shakhnazarov che in realtà era in concorso a Cannes nel '91 con L'assassinio Dello Zar (protagonista: Alex di Arancia Meccanica). Del film, sappiamo solo che è d'azione.
La Corea sel Sud gioca forte e manda il Leone d'Oro del ben più noto e osannato Kim Ki-duk. Il regista, già inviato nel 2003 con Primavera, Estate, Autunno, Inverno... E Ancora Primavera, non ha mai sfiorato la statuetta, e il suo stato, poveretto, dal 1962 ad oggi non ha mai ricevuto nominations. Sarà la volta buona, o avranno la meglio i suoi rivali Palma d'Oro e Orso d'Oro?
E siccome quest'anno erano usciti pochi film che narravano le gesta di Biancaneve in tutte le salse - musical, action, ribaltata, visionaria, per grandi, per piccini - la Spagna ha sfornato un filmetto dallo spagnolo titolo Blancanieves che, sempre in tema di originalità, è muto e in bianco e nero; storia della fiaba dei Grimm riportata all'Andalusia degli anni '20, è un tributo ai film europei di quel periodo, ma forse non si sono accorti che c'ha già pensato The Artist. Con protagoniste Maribel Verdú (Il Labirinto Del Fauno e il più recente Tetro di Coppola) e Ángela Molina (La Sconosciuta, Baaria, Gli Abbracci Spezzati), è già stato presentato a Toronto e in altri festival riscuotendo abbastanza successo; la Spagna, poveretta anche lei, ha vinto solo quattro Oscar al film straniero in quasi sessant'anni, su un putiferio di candidature (gli ultimi Volver e También La Lluvia furono solo inseriti nella lista di gennaio).
La Svezia, che ne ha vinti solo tre, due dei quali con Bergman (ma Il Settimo Sigillo e Persona non vennero nemmeno candidati) schiera un regista che ormai di svedese ha molto poco anche se si chiama Lasse Hallström. Candidato già da solo a tre statuette (sceneggiatura e regia de La Mia Vita A Quattro Zampe e regia de Le Regole Della Casa Del Sidro) ha ormai consumato gli anni d'oro in cui sfondava al botteghino e al Kodak Theatre (Buon Compleanno Mr. Grape, Chocolat). Gli ultimi Hachiko, Dear John e Il Pescatore Di Sogni sono stati bocciati dalla critica anche se discretamente venduti nei cinema. Questo nuovo Hypnotisören è un crime/thriller recitato in svedese e girato prima del ritorno ai libri di Nicholas Sparks.
La Svizzera, dopo l'italiano Giochi D'estate dell'anno scorso, manda un film recitato in francese di cui abbiamo già parlato e che ha già vinto l'Orso alla regia a Berlino l'anno scorso ma che agli americani non dovrebbe piacere, dato il forte timbro europeo tipico dei Dardenne (che non si candidano mai). Sister, di Ursula Meier, titolo originale “Il Bambino Dall'alto”, è la storia di un fratello e una sorella che per campare ai piedi dei monti innevati di turisti tutto l'anno rubano ai ricchi per rivendere ai passanti e potersi allora comprare il necessario. Ma rimando alla recensione.

Russia: Belyy Tigr (White Tiger) di Karen Shakhnazarov
Serbia: Kad Svane Dan (When Day Breaks) di Gorana Paskaljevica
Singapore: Already Famous di Michelle Chong
Repubblica Slovacca: Az Do Mesta As (Made In Ash) di Iveta Grófová
Slovenia: Izlet (A Trip) di Nejc Gazvoda
Sudafrica: Umfaan (Little One) di Darell Roodt
Corea del Sud: Pietà di Kim Ki-duk
Spagna: Blancanieves di Pablo Berger
Svezia: Hypnotisören (The Hypnotist) di Lasse Hallström
Svizzera: L'enfant D'en Haut (Sister) di Ursula Meier
Taiwan: Touch Of The Light di Chang Rong-ji
Tailandia: Fon Tok Kuen Fah (Headshot) di Pen-Ek Ratanaruang
Turchia: Ates'in Düstügü Yer (Where The Fire Burns) di Ismail Günes
Ucraina: Firecrosser di Mykhailo Illienko
Uruguay: La Demora (The Delay) di Rodrigo Plá
Venezuela: Piedra, Papel O Tijera (Rock, Paper, Scissor) di Hernán Jabes
Vietnam: Mùi Co Cháy (The Scent Of Burnt Grass) di Nguyen H˜uru Muòi

martedì 23 ottobre 2012

Meryl Springs.



Il Matrimonio Che Vorrei
Hope Springs, 2012, USA, 100 minuti
Regia: David Frankel
Sceneggiatura originale: Vanessa Taylor
Cast: Meryl Streep, Tommy Lee Jones, Steve Carrell
Voto: 6/ 10
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Hope Springs è il nome della località («troppo cara») del Maine dove si recano Arnold e Kay, coppia sposata da trentun anni appena festeggiati con cena di famiglia, rinnovo della tv via cavo (soprattutto per vedere il golf) e due candelabri in vetro («proprio quello che ci serviva»). Si recano nel Maine, ad Hope Springs, cittadina che non viene mai nominata nella versione italiana della pellicola dato che il titolo originale è stato tramutato nel più aulico Il Matrimonio Che Vorrei, perché il loro trentennale matrimonio è arrivato al punto in cui si dorme in camere separate e l'unico contatto fisico è il bacio (sulla guancia) del mattino, prima che lui vada a lavoro e mentre lei lava la padella in cui ha appena fritto un uovo.
Vanno nel Maine, allora, precisamente ad Hope Springs, perché lì c'è lo studio in cui il dottor Feld riceve le coppie in crisi e le aiuta o a uscire dalla crisi tornando ad amarsi oppure a separarsi definitivamente. Trova che Kay e Arnold siano una coppia giustamente sposata, a differenza di molti altri suoi pazienti, e allora interviene verbalmente tra le loro lenzuola per invitarli a: toccarsi, masturbarsi, fare sesso in camera, fare sesso in luoghi pubblici, dare sfogo alle fantasie, parlare di ciò che hanno appena fatto.
Se ne deduce quindi che questo film sia pieno, pienissimo, strabordante di erotismo. Che infatti c'è. Ed è tutto orale - non nel senso hardcore del termine. Si parla di rapporti orali, orgasmi vaginali, orge con la vicina, posizioni (s)convenienti, si analizza la fine di un desiderio e l'abitudine che ne consegue, ci viene celato il passato di quest'uomo che in realtà ha ancora voglia e questa donna che ha voglia più di lui, e non si vede mai né una tetta né una coscia. Grazie a Dio.
Tutto questo perché anche in terza età si ha un corpo, e si ha una vita sessuale, ed è giusto che un film così leggero e raffinato ce lo ricordi. Ed è giusto, grazie a Dio, che le persone in sala sorridano senza disgustarsi.
“La nuova commedia del regista de Il Diavolo Veste Prada” cerca di far rialzare il suddetto (David Frankel) dallo scivolone doppio preso con Io & Marley del 2008 (sulla locandina del quale pure compariva il riferimento al film precedente) e con Un Anno Da Leoni, titolo originale: The Big Year, dell'anno scorso. Forse ci riesce, a livello di cassetta: Hope Springs ha incassato infatti in America quindicimila dollari e mezzo al primo fine-settimana di proiezione; sarà che l'accoppiata, in locandina, “bla bla Il Diavolo Veste Prada e Meryl Streep” ha funzionato. Quando c'è Meryl Streep sulla locandina, infatti, si sa: il film sarà sicuramente buono, se non altro perché la sua recitazione è un dono del buon Dio e basta a riempire un'ora e mezzo di nastro (si legga: Julie & Julia); perché poi, ancora, se c'è Meryl Streep allora sarà un film composto, educato, non volgare, simpatico in modo intelligente, ironico, triste quanto basta per essere apprezzato dalle amiche del mercoledì allo spettacolo del pomeriggio, e perché queste si facciano accompagnare dai mariti ci mettiamo il fuggitivo Tommy Lee Jones, che mai nessuno si aspetterebbe di vedere in una commedia ma, se mai se lo aspettasse, se lo immaginerebbe così.
La coppia funziona tanto grazie a lei quanto grazie a lui, ma si sa: Meryl Streep è il nome di un record, non di un'attrice, è il nome di diciassette nominations all'Oscar e tre statuette vinte, ventisei nominations ai Golden Globe tra televisione e cinema e otto globi vinti, e possiamo dire quasi certamente che arriveranno a breve la diciottesima da una parte e la ventisettesima dall'altra. Dio non voglia.
Insieme a loro, insipido e inutile, c'è lo Steve Carrell che è così bravo in The Office, è stato così bravo in Little Miss Sunshine, ma al cinema forse dovrebbe tornarci il meno possibile.
Curiosa curiosità: la sceneggiatrice di questa storia originale, che si chiama Vanessa Taylor, è stata molto brava a raccontare la sessualità senile e i rapporti di coppia al margine della fine; e la sua bravura deriva dal fatto che lei non fa né la sceneggiatrice di commedie né la consulente per anziani: produce (e scrive) Game Of Thrones.