lunedì 18 giugno 2012

Cannes65: Post Tenebras Lux.



Post Tenebras Lux
id., 2012, Messico, 120 minuti
Regia: Carlos Reygadas
Sceneggiatura originale: Carlos Reygadas
Cast: Adolfo Jiménez Castro, Nathalia Acevedo, Willebaldo Torres
Voto: 6.3/ 10

Cannes65: Premio alla miglior regia (Carlos Reygadas)
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Durante tutto il film, in sala, le persone alla mia destra e alla mia sinistra parevano colpite dalla tarantola. Si muovevano sulle poltroncine sofferenti come in sala d'attesa dal dottore. Cambiavano bracciolo per i gomiti, sbuffavano. Quelli che avevo davanti si guardavano sorridendo. Io controllavo spesso il telefono, e pensavo a cosa avrei potuto cucinare il giorno dopo. Alla fine della proiezione la gente in sala (non troppa) rideva. Alcuni facevano «buu» pure se non c'era il regista presente. Post Tenebras Lux, che ha diviso la critica (ma a questo punto ha tenuto ben saldo il pubblico), premiato a Cannes 2012 per la miglior regia, ha fatto cagare a molti. La signora di fianco a me, andandosene, ha detto: «ci casco sempre; non mi devo fidare più dei messicani».
In realtà, il film, ha degli aspetti superbi. Parte in modo che è pura tecnica, in quattro terzi, in aspect ratio 1:37.1 e cioè con una sorta di cerchio ottico al centro che sfuoca i bordi e ripete parte dell'immagine, aspetto che viene esasperato nelle scene all'aperto, nei boschi, che occupano quasi completamente il film. La scena iniziale, dicevo, è bellissima: fotografia magistrale, una bambina, che poi scopriremo chiamarsi Rut (e che sappiamo essere la figlia vera del regista, insieme all'altro infante protagonista), corre e scarrozza per un campo in cui ha visibilmente piovuto gridando «vacche» e «cani» perché queste sono le uniche presenze intorno a lei. I quadrupedi si spostano, la telecamera pure, lei saltella e ride, il cielo si fa grigio, arriva la tempesta. Dieci minuti abbondanti così, di niente, di pura tecnica. Lo schermo si fa nero insieme al cielo e, una parola ogni cinquanta secondi, compare il titolo. Seconda scena, e iniziano i dolori: il diavolo - una sagoma di satiro rosso fluo dall'interno, che emana luce - entra in una stanza con valigetta in mano e lentissimamente procede verso una camera da letto mentre un bambino lo guarda. Dalla terza scena potrebbe iniziare il film, la cui trama dovrebbe essere questa: Nathalia e Juan sono una coppia con due figli che, vediamo, può permettersi una domestica in casa e una sontuosa cena di Natale coi parenti; senza problemi dal punto di vista economico e con un sacco di cani, decidono di andare a vivere in campagna e stare più a contatto con la natura. E basta. La trama è questa. Che poi, non è certo che sia questa, perché la storia ci viene raccontata in ordine casuale: vediamo Rut e Eleazar piccolissimi, poi grandi, poi di nuovo piccoli, poi adulti al mare; vediamo che a Juan succede qualcosa e poi un manipolo di vecchi ne parla giocando a carte, altrove; vediamo una foresta con alberi che cadono, immagini maestose conservate per la fine, e ancora gente che va a cavallo, o su un asino. Compare, poi, pure, l'ossessione del regista: il sesso. Che si fa regolare volgarità nella voglia di Juan di voler scopare la moglie da dietro e poi disgustosa pornografia in una tremenda, lunghissima, scena nella sauna d'amore prolifero.
Una storia, quindi, esiste, ed è la storia di un tormento interno mai appagato. Una tecnica pure, ed è quella di affiancare le immagini per sensazione e non per senso. Un regista consapevole, anche: Carlos Reygadas - che suscita queste polemiche ogni volta, e l'aveva già fatto a Cannes con Battaglia Nel Cielo - in conferenza stampa ha ammesso «so di chiedere uno sforzo eccessivo allo spettatore». Eppure l'hanno premiato, perché in quest'aria post-The Tree Of Life si sente molto l'eredità della pellicola di Malick che pure lavorava nello stesso senso, ma a sfondo religioso (e con della musica, che qua non c'è).
Lo sforzo dello spettatore, caro Carlos, deriva soprattutto dalla lunghezza: taglia la metà delle scene infinite e vedrai che non ci divincoleremo in sala come api. Un suggerimento per cosa rimuovere: il tizio che si stacca la testa con le mani e poi s'accascia e, per esempio, il ritorno del diavolo in casa.
La scena finale ci convince che qualcosa si nasconde, dietro questa porta, qualcosa di bellissimo, diretta benissimo, ma noi non abbiamo la chiave.

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