mercoledì 13 giugno 2012

Cannes65: Amour.



Amour
id., Francia/ Austria, 2012, 125 minuti
Regia: Michael Haneke
Sceneggiatura originale: Michael Haneke
Cast: Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert
Voto: 9.7/ 10

Cannes65: Palma d'Oro al miglior film
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Dopo una serie di titoli di testa parenti di quelli di Woody Allen, ma completamente muti, una squadra di non si capisce bene cosa (polizia?, pompieri?) irrompe in una casa sigillata da nastro adesivo marrone e tra una stanza vuota e l'altra, piena del solo tanfo di decomposizione, trova una vecchina morta, adagiata su un letto e circondata di fiori freschi. Un attimo dopo, quella vecchina, immersa in una platea elegante di gente benvestita che assiste ad un concerto per solo piano, farà notare al marito quanto la spaventerebbe se qualcuno entrasse in casa sua mentre lei dorme, mentre loro sono a letto. Loro, si chiamano Anne e Georges, hanno più o meno settant'anni, sono sposati da tutta una vita, hanno una figlia, interpretata da Isabelle Huppert, che è sposata con un inglese, il pianista di prima, Alexander Tharaud, che interpreta se stesso e musica mezzo film.
La vita dell'anziana coppia scorre così, in una grande casa di legno e libri, di cui vediamo poche stanze, per abitudini e qualche tenero complimento, fino alla mattina della colazione turbolenta: Anne serve l'uovo alla coque al marito seduto a tavola e poi si disperde guardando il vuoto, ferma, immobile, muta. Lui le chiede «cos'hai?, cosa non va?» e lei non risponde. Lui apre l'acqua, le bagna una pezza e gliela tampona sulla fronte, e lei non si scompone. Le parla, le urla contro, ma niente. Va a mettersi la giacca per scendere a chiamare aiuto e sente, dall'altra stanza, che il rubinetto è stato chiuso. Torna in cucina e la moglie è là, normalissima, che lo rimprovera: «perché hai lasciato l'acqua che scorreva?».
È l'inizio della fine: dopo un primo ictus, la povera Anne entrerà nel tunnel della malattia che la renderà impotente, immobile, dipendente, incosciente, bisognosa di continue cure e attenzioni. In questo difficilissimo periodo, il marito le sarà vicino sempre, continuamente, indistintamente, senza mai cedere allo sconforto né al pianto, senza mai rassegnarsi, combattendo con la figlia che la vorrebbe far chiudere in un centro specializzato perché «io in casa le posso dare le stesse cose che le darebbero lì». La fa esercitare nella camminata, quando ormai è bloccata sulla sedia a rotelle, e le fa cantare “Sur Le Pont D'Avignon” quando la paralisi le blocca mezza bocca. L'“amour” del titolo è la devozione totale di lui per lei.
Con perfida maestria, Michael Haneke ci fa vedere svariati momenti di vita di questa attempata ma solidissima coppia attraverso scene e inquadrature lunghissime, estenuanti, che come il film intero ci aumentano il fastidio; noi siamo là, spettatori costretti alla claustrofobia (ma non come per Funny Games), e ci chiediamo quanto debba durare ancora, quanto ancora dobbiamo soffrire, noi, con lei? La demenza prosegue, aumenta, ma la donna e il marito non perdono mai la propria dignità: lui non permette mai che lei perda la dignità, anche quando sputa l'acqua, anche mentre si sbrodola con l'omogeneizzato. Al rigore tecnico dei silenzi, della fotografia, della regia e delle scene, dei quadri e delle stanze inquadrate, della musica che compare solo quattro volte, si aggiungono due interpretazioni che non rivedremo mai più nella vita: quella di Emmanuelle Riva, già in Hiroshima Mon Amour, incredibile quando la malattia ormai è all'ultimo stadio, credibilissima, vera, immensa; e soprattutto quella di Jean-Louis Trintignant, che diciassette anni fa si è ritirato dalle scene ma che per questo film, già capolavoro su carta, ha fatto uno strappo alla regola, fidandosi di Haneke che gli affida praticamente tutte le scene.
Una meritata e applauditissima Palma d'Oro per un film che è bellissimo già così com'è, a quasi due ore dall'inizio e che poi, nella scena pre-finale, si fa capolavoro.

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