giovedì 14 giugno 2012
il film turco.
C'era Una Volta In Anatolia
Bir Zamanlar Anadolu'da, 2011, Turchia, 157 minuti
Regia: Nuri Bilge Ceylan
Sceneggiatura originale: Ebru Ceylan, Nuri Bilge Ceylan, Ercan Kesal
Cast: Muhammet Uzuner, Yilmaz Erdogan, Taner Birsel,
Safar Karali, Ahmet Mümtaz Taylan, Firat Tanis, Ercan Kesal
Voto: 8/ 10
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Per l'edizione degli Oscar 2012 la Turchia voleva andare sul sicuro e allora aveva scelto, come invitato nazionale, il nuovo (il sesto) film di Nuri Bilge Ceylan, già inviato tre volte oltre il mare e tra i nove candidati di gennaio nel 2008 con Le Tre Scimmie. Il film in questione, C'era Una Volta In Anatolia, aveva già vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes 64 ed era stato l'unico acerrimo concorrente di Una Separazione agli Asia Pacific Screen Awards (vincendo per la regia e la fotografia). Recensioni altissime, elogi da tutte le parti, una carriera invidiabilissima per l'autore (per cinque volte, a Cannes, ha sempre vinto qualcosa, e una su due a Berlino), niente, non ce la fa, non si candida.
E dopo un anno esatto dalla presentazione in Francia, questa settimana arriva da noi, distribuito da una piccolissima e nuova casa nostrana, la Parthenos, e i giornali e i siti di cinema si crogiolano nel parlarne. Paolo Mereghetti sul Corriere gli dà tre stelle e mezzo su quattro, Nicola Falcinella su MyMovies quattro e mezzo su cinque. Io un po' di meno, perché - cosa che hanno notato in molti - il film è di una lunghezza asfissiante che richiede uno sforzo sovrumano ad un certo punto (dopo due ore abbiamo ancora molte porte aperte e molte inquadrature apparentemente inutili), e poi - cosa che ammettono in pochi - le porte aperte non vengono chiuse, e si resta immobili a chiedersi se forse qualche dettaglio sia sfuggito all'occhio in queste due ore e tre quarti, mentre il regista onniscente continua a inquadrare in modo ambiguo soprattutto uno dei personaggi principali come se ci volesse fare un dispetto perché qualcosa noi ancora non sappiamo.
I personaggi che ci interessano sono tre: un procuratore, un commissario, un dottore. Questi, insieme a due poveracci con la pala, al poliziotto scrivano, ad un autista e soprattutto ad un assassino reo confesso, vagano per le strade deserte e desertiche dell'Anatolia alla ricerca di una fontana vicina ad un albero a forma di pallone perché da qualche parte, forse sottoterra, c'è qualcosa che a loro interessa. Questa cosa noi ancora non sappiamo cosa sia, e non la sapremo per un po': la notte avanza, la fame pure, decidono di fermarsi a mangiare nel paese vicino, paesino fatto di panni stesi e porte in lamiera e un sindaco che sa come intrattenere gli ospiti a bocca piena (cioè parlando). La mattina arriva, i discorsi si spengono, con la luce il paesaggio è meglio visibile e all'assassino torna la memoria e il luogo del delitto viene scovato. E mica il film è finito: ci sono carte da scrivere, cause da ricercare, cadaveri da analizzare, assassini da riportare in città.
L'esile e scorrevole trama, che seguiamo dalla sera alla mattina senza fermarci mai, sta in piedi su tutta una serie di dialoghi, di discorsi, di confessioni, di spiegazioni, di interruzioni e poi riprese che mai al cinema sono stati spontanei come questa volta, mai hanno così messo a nudo i personaggi, veritieri, reali. La sceneggiatura (originale, scritta dal regista con sua moglie e l'attore Ercan Kesal che interpreta il sindaco) è sicuramente il rubino del film: da una continua richiesta di medicine a battute sulle emorroidi, sulla somiglianza con Clark Gable, si sorride spesso e si ride molto per spezzare la staticità e la lunghezza di molte sequenze. Ma alla fine, nell'ultima scena, dopo che un segreto ci è stato rivelato e di un altro non ci importa più niente, ancora siamo là in attesa di sapere questa terza e ultima cosa, cosa che poi non ci viene detta, e uscendo dal cinema sbuffiamo.
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