domenica 17 giugno 2012
Cannes65: The We And The I.
The We And The I
id., 2012, USA, 90 minuti circa
Regia: Michel Gondry
Sceneggiatura originale: Michel Gondry, Jeffrey Grimshaw, Paul Proch
Cast: Michael Brodie, Teresa Lynn, Raymond Delgado,
Jonathan Ortiz, Jonathan Scott Worrell, Alex Barrios,
Laidychen Carrasco, Meghan Murphy, Chenkon Carrasco
Voto: 9/ 10
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Ultimo giorno di scuola per un istituto del Bronx fatto di minoranze razziali ben integrate tra di loro; nelle classi hanno consegnato l'annuario, l'aria dell'estate si respira col naso, la campanella suona, l'autobus per i forestieri passa e i soliti pendolari ci corrono sopra. La grande autista donna li saluta perché li conosce tutti, e li conosce bene. Maschi e femmine prendono posto. Come quando andavamo in gita pure noi alle medie e al liceo, i “fighi” del gruppo si fiondano dietro, sugli ultimi quattro posti allineati sotto al vetro, pronti a catalizzare potere e attenzioni. Infastidiscono i pochi adulti presenti, i molti studentelli ingenui, mischiano una parlata volgare e dialettica a video ed SMS che circolano sul cellulare. Un filmato in particolare, che tutti si passano ridendo, lo vedremo fino alla nausea, un ragazzo che scivola sul burro e cade per lungo rompendosi l'osso sacro. Una Laidy stressata dai genitori si gratta le braccia stilando la lista degli invitati al suo “sweet 16”, un cantautore dietro di lei inforca la chitarra e le dedica una serenata, una coppia gay vedrà la gioia e la tristezza in poco più di un'ora, un reggiseno ad acqua salterà da un sedile e l'altro. E basta. Il film è tutto qua, tutto qua dentro, completamente privo di trama e tutto nell'autobus. E non si fa claustrofobico come Sleuth o il più recente Carnage, opere visibilmente reduci dal teatro, perché quest'autobus (ora inquadrato dall'esterno, ora non inquadrato) interagisce col mondo che c'è fuori, con le strade della periferia povera americana, con un incidente in un incrocio e un ingorgo, con i giorni passati e le storie che si raccontano e gli insegnanti che si nominano, tutti visti in flashback ripresi da un cellulare.
Dopo opere visivamente allucinanti e allucinate (già l'aveva fatto con Eternal Sunshine Of The Spotless Mind ma l'apice l'ha toccato ne L'arte Del Sogno) Michel Gondry ammazza il suo tipico cinema perché affascinato dal Point, una comunità nel Bronx in cui ha cominciato a bazzicare e da cui ha attinto grande ispirazione per la sceneggiatura - insieme a una lettera che una delle madri gli ha indirizzato in cui si scusava di non poter mettere a disposizione casa sua per le riprese, che ci verrà letta alla fine. Riesce, in maniera totalmente incomprensibile, a sfornare un The Breakfast Club del 2012, dei giorni nostri, con feste alcoliche, segreti lesbo, Blackberry e slang scritti. Noi siamo su quell'autobus con loro, al centro, e vediamo contemporaneamente le cose che ci succedono intorno, che si accavallano, il tutto diviso in tre parti, che cominciano col “Bullismo” e terminano con “L'io”, l'introspezione di quando si è pochi, ormai quasi al capolinea, e ci si apre con i compagni a cui non si ha rivolto la parola per l'anno intero.
In realtà, la mano di Gondry, anche se ben nascosta, si vede: a cominciare dai tremendi e pacchiani titoli di coda, e poi puntellata in tutti i flashback e i viaggi mentali che i ragazzini parlando fanno: insegnanti di disegno bruciati da fiamme di carta, finestrini dell'autobus che mostrano cosa succede in un altro isolato. Le interpretazioni degli sconosciuti giovani attori sono impeccabili (su tutte, quella di uno dei due gay), a starci a contatto ci si rende conto della crudeltà dell'adolescenza, della cattiveria delle loro bocche, cattiveria ingenua che si dimentica dopo qualche ora, perché è un microcosmo strano quello dei giovani, che ci fanno ridere e ci fanno piangere e non si accorgono che questo autobus, per portarli a casa, sta impiegando troppo: è quasi notte.
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